Jacques Dubois (Sylvius) |
D'altro canto, ci sono anche medici e scienziati che prendono sì ispirazione dal mondo che li circonda, ma per formulare delle proposte vagamente surreali. Uno dei casi più interessanti è quello di un altro professore di medicina francese, appartenente alla generazione precedente a quella di Joubert, Jacques Dubois (Sylvius, 1478-1555). Questi è fra i grandi protagonisti della new wave umanistica in ambito medico e dalla sua cattedra parigina tuonò improperi d'ogni tipo contro il suo ex allievo Vesalio, reo - con le sue modernissime tavole anatomiche - di mettere in discussione l'antico insegnamento galenico (Sylvius era talmente persuaso del fatto che Galeno non avesse mai potuto sbagliare da giungere alla conclusione, dinanzi ad alcune inoppugnabili osservazioni di Vesalio, che la specie umana aveva necessariamente dovuto corrompersi nei dodici secoli trascorsi dall'epoca in cui il medico di Pergamo aveva scritto le sue opere!). Sono questi degli esempi interessanti di come vecchio e nuovo si intreccino nel '500 in modi originalissimi, di come - cioè - un fenomeno che rappresentava senz'altro un segno di discontinuità rispetto al passato (la cura filologica per le fonti e il desiderio di ripristinare l'esatta parola degli antichi) potesse cozzare con un fenomeno altrettanto nuovo quale la pratica vesaliana di ricorrere alle dissezioni non più semplicemente per illustrare quello che c'era scritto nei libri, ma per raccogliere informazioni con cui formare nuovi libri, che tali informazioni avrebbero poi dovuto conservare e trasmettere, anche attraverso un uso inedito delle illustrazioni.
Sylvius fu però anche autore di alcuni testi di argomento dietetico e terapeutico, che sono particolarmente interessanti dal punto di vista storico perché appaiono indirizzati alla cura di pazienti provenienti dalle classi sociali più disagiate (il tema della crescente povertà urbana era una questione che appariva sempre più pressante nei primi decenni del secolo: il grande umanista spagnolo Juan Luis Vives scrisse per esempio nel 1526 un De Subventione Pauperum con cui cercava di affrontare la questione in termini non solamente caritatevoli e assistenziali ma propriamente politici). In essi l'autore suggeriva alcune semplici prescrizioni che potevano aiutare i nullatenenti a sopravvivere al meglio nonostante le ristrettezze cui erano condannati. Sono di questo tenore, per esempio, il De parco ac duro victu libellus elegans ("Elegante libretto sul regime di vita povero e duro", del 1542) e il De victus ratione facili ac salubri pauperum scholasticorum libellus ("Libretto sul regime di vita facile e salubre degli studenti poveri", anch'esso del 1542, espressamente indirizzato ai giovani allievi, con consigli ad hoc come quello di dedicarsi alla lettura con un'adeguata luminosità per non rovinarsi la vista), anche se non si capisce esattamente come potessero i poveri documentarsi su dei libri scritti pur sempre nel latino dei dotti.
Immagine di un Astomo, da Kaspar Schott, Physica curiosa (1662) |
Ad ogni modo, il vero e proprio colpo di genio di cui vorrei parlare si trova nel Consilium perutile adversus Famem et Victuum Penuriam ("Consiglio utilissimo contro la fame e la penuria di cibo", di datazione incerta, ma risalente alla fine degli anni '40). L'idea di Sylvius è che, non essendo la fame e la sete nient'altro che l'impulso naturale con cui il corpo cerca di reintegrare la propria sostanza, riequilibrando così, con l'assunzione di cibo e bevande, la quantità di materia che continuamente e invisibilmente si disperde nell'ambiente a causa del calore nativo che brucia dentro di noi, se noi moderassimo questo calore o limitassimo in qualche modo tale dispersione, avremmo eliminato o comunque ridimensionato l'esigenza di nutrirci. Da cui il conseguente consiglio: «Impediremo la dispersione, se chiuderemo tutti i pori e i meati del corpo, eccezion fatta per quelli che sono stati destinati dalla natura all'espulsione degli escrementi superflui del corpo, quali sono i meati attraverso cui sono espulse le feci, le urine e il muco e attraverso cui anche si produce la respirazione...» (giuro che dice proprio così, a p. 197 della sua Opera medica, che è disponibile su Google Books). Non meno grottesco, nelle pagine successive, il modo con cui Sylvius cerca di mostrare che è possibile sopravvivere nutrendosi solo di aria...
Ma ora mostriamo in quale modo l'uomo e moltissimi altri animali possono vivere, se non sempre, almeno per un po' di tempo solo di aria o di sostanze aeriformi (...) Anzitutto orsi, ghiri, testuggini, serpenti, anguille, vipere e molti altri animali vivono nascosti nelle loro grotte senza cibo e bevanda, del solo respiro, senza il quale non possiamo vivere neppure per un istante; molti che sono afflitti da apoplessia o letargia trascorrono diversi giorni senza bere e mangiare; molti che sono rinchiusi in carcere o che sono caduti in burroni o stanno nascosti nei boschi vissero per qualche tempo accontentandosi di respirare aria. Scrive Plinio (Nat. Hist. VII, 2) che alcuni popoli privi di bocca [i cosiddetti Astomi, che la leggenda riteneva abitassero in India, ndr] vivessero solo del respiro e dell'odore fragrante dei pomi selvatici che giungeva alle loro narici. Facciamo ogni giorno esperienza di quante persone risorgono e quasi tornano a vivere al solo odore del pane, della carne bollita o meglio ancora arrostita, dell'acqua di rosa, della caryopilite, della noce moscata e altre simili cose: per opera di odori di questo tipo persino la sincope mortale è immediatamente guarita... (p. 198),E continua, poco dopo:
Si sono visti al nostro tempo non pochi uomini, soprattutto in Germania, per natura malinconici e flegmatici che vissero diversi mesi senza mai bere né mangiare: sebbene Ippocrate affermi nel libro De carnibus che non assumere cibo per sette giorni sia letale per l'uomo, Plinio invece sostiene che non sempre il settimo giorno è fatale, poiché molti sopravvissero anche dopo oltre undici giorni... (p. 198).
La logica soggiacente sembra più o meno essere questa: se il corpo disperde nell'ambiente circostante sottilissime parti di materia, per reintegrarle potrebbe essere sufficiente, almeno per un limitato periodo di tempo, inalare una pari quantità di sostanze aeriformi, senza bisogno di ricorrere al cibo solido. É chiaro che il retroterra tragico che fa da sfondo a queste disarmanti considerazioni è quello di un mondo segnato da prolungate carestie, rese ancor più pesanti dai movimenti degli eserciti nell'eterna guerra tra le potenze europee. Meno chiaro è invece dove Sylvius abbia visto questi fantomatici tedeschi capaci di sopravvivere per giorni senza acqua né cibo. E soprattutto senza birra.
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