Tanto per far capire che aria tira
qui a Thélème, contravverrò subito alle mie stesse dichiarazioni d’intenti (per cui vedi qui a fianco la stanza l'autore ai lettori), in
base alle quali sarebbe lecito attendersi pagine popolate esclusivamente da nani
e ballerine rinascimentali, e inaugurerò il blog con due post serissimi, venati
anzi di una patina malinconica, dietro cui si potrebbe persino scorgere l’ombra
di una nemesi storica. Mi sembra bello infatti cominciare con un omaggio alla
mia città, peraltro in pieno anno elettorale, e quindi in un momento in cui si è più
propensi a ragionare di passato, presente e futuro. Quella che intendo
raccontare è infatti la storia di come Mondovì ebbe per lo spazio di un mattino
la sua Università e di come le venne sottratta dopo pochi anni (meno ancora di
quelli trascorsi, in tempi più recenti, prima che il Politecnico di Torino chiudesse
di fatto la sua sede decentrata, aperta nel 1990).
Mondovì, Cattedrale e Torre del Belvedere |
Anche se è meno nota alla memoria
collettiva rispetto ad altre più celebri date, il 3 aprile 1559 segna in ogni caso un autentico
punto di svolta nella storia italiana. Quel giorno infatti fu ratificato nella
cittadina francese di Cateau-Cambrésis, ai confini con le Fiandre, l’accordo di
pace che pose fine alle estenuanti guerre tra Asburgo e Valois, stabilendo di
fatto il dominio spagnolo sulla Penisola per tutto il secolo successivo. Fra le
varie risoluzioni contenute nel trattato, ve n’era anche una che imponeva alla
Francia di abbandonare i territori appartenenti a casa Savoia, dopo oltre un
ventennio di occupazione, e di restituirli al loro legittimo titolare, Emanuele
Filiberto, ritrovatosi duca senza ducato alla morte del padre Carlo III, con il
quale era fuggito dal Piemonte al momento dell’invasione delle armate
transalpine. Avviato precocemente alla carriera militare, il giovane principe aveva
poi scalato le gerarchie dell’esercito imperiale fino a guidarlo alla vittoria
nella decisiva battaglia di San Quintino (10 agosto 1557) e scalpitava ora per
veder finalmente riconosciuti i propri diritti ereditari. In vista del suo effettivo
insediamento, tuttavia, come garanzia di futura neutralità dello Stato sabaudo
nello scacchiere italiano, la Francia ottenne comunque al tavolo della pace di
poter mantenere il controllo di alcune piazzeforti strategiche in territorio
piemontese, tra cui Chieri, Pinerolo e – soprattutto – Torino.
Emanuele Filiberto,
"Testa di Ferro"
|
Tommaso Vallauri, autore di una Storia dell’Università piemontese (1845-47),
dà una descrizione quasi commovente della solerzia manifestata in questa
circostanza dai monregalesi, che seppero davvero far fronte comune per il bene
della città:
Sicuramente nell’impresa ci credeva
molto, in questo primo momento, lo stesso Emanuele Filiberto. Oltre a imporre per
decreto che tutti i giovani piemontesi interessati a proseguire i loro studi si iscrivessero a questa Università, egli fece chiamare appositamente da Firenze lo stampatore fiammingo Lorenzo
Torrentino, perchè aprisse una tipografia a Mondovì così da garantire il supporto editoriale necessario per le attività scolastiche: a tale scopo fu costituita nel giugno del 1562 un’apposita
società, in cui lo Stato entrava per un terzo del capitale. Questa decisione è particolarmente indicativa. Le credenziali di Torrentino, infatti, non erano in quel momento
particolarmente affidabili, dal momento che la sua precedente esperienza come
stampatore di stato per conto del granduca di Toscana Cosimo de’ Medici si era
conclusa in modo fallimentare. Tuttavia restava uno dei maggiori tipografi attivi in Italia, e poteva vantare al proprio attivo edizioni di Guicciardini, Paolo Giovio e Vasari. L'intenzione di Emanuele Filiberto era evidentemente quella di rafforzare quanto più possibile il centro di studi che aveva
creato, ma poiché si trattava pur sempre di una piccola realtà, bisognava anche essere disposti a concedere una seconda chance a figure di caratura internazionale il cui successo si era magari momentaneamente offuscato. Tutto sembrava dunque cospirare per il meglio. Avviato il primo
regolare anno accademico nell’autunno 1561, Mondovì (dove esattamente negli
stessi anni veniva anche inaugurato anche un Collegio Gesuitico) sembrava insomma
nelle condizioni di potersi ritagliare uno spazio significativo nel novero delle
istituzioni scolastiche superiori italiane, quale ateneo di riferimento del rinnovato
Stato piemontese (l’equivalente, insomma, di ciò che Padova era per Venezia o
Pisa per Firenze). Ma la storia aveva in serbo per lei un brutto tiro.
«la sollecitudine dimostrata in questa occasione dal comune di Mondovì, e la rara liberalità, con cui si profferse di sopperire in parte alle spese richieste pel mantenimento dei lettori, palesa chiaramente l’indole di quei cittadini, i quali, come sono per lo più di svegliato ingegno e disposti al coltivamento di qualunque liberale disciplina, così hanno della natura una singolare alacrità, che li rende assai faticanti e adatti al maneggio di gravissimi affari, e fa loro abbracciare volenterosamente tutto ciò che si rappresenta all’animo siccome utile e onesto» (pp. 153-4).In tal senso, l’episodio forse più significativo fu la decisione assunta il 14 febbraio del 1561 di attingere una quota di mille scudi dalle casse comunali da destinare al pagamento degli insegnanti, per sopperire alle lacune del finanziamento ducale. Ma Mondovì aveva dato per tempo prova inequivocabile di nutrire grande fiducia in questo progetto. Ancor prima che la concessione fosse ufficializzata, il Comune aveva già provveduto infatti a reclutare personale e a organizzare un embrionale ciclo di lezioni in diritto e medicina, benchè le nomine dei cattedratici, di competenza del duca, fossero poi snocciolate pian piano durante tutto il corso del 1561, segno che – nonostante le ottime intenzioni – per quel primo anno la didattica procedette inevitabilmente a singhiozzo, come del resto è normale aspettarsi da un’attività appena inaugurata. Come sede delle lezioni furono scelti il palazzo vescovile e l’attiguo ospedale maggiore; l’aula vescovile, in particolare, fu destinata alla proclamazione delle lauree. Mondovì fu anche molto generosa nel rifornire di professori autoctoni la sua università, anche se questo può per certi aspetti essere considerato un suo punto debole, perchè sembra denotare un certo provincialismo; ciò non toglie, tuttavia, che, allo stesso tempo, per creare interesse intorno alla neonata istituzione furono anche assoldati per iniziativa del duca alcuni personaggi interessanti della cultura italiana ed europea della metà del ‘500 (ma sui professori che passarono da Mondovì mi piacerebbe tornare in un altro post).
Frontespizio della Storia d'Italia di Guicciardini, pubblicata da Torrentino nel 1561 |
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