Avrete di sicuro presente quei tipici articoli con cui giornali o riviste specializzate, al volgere di un secolo, di un decennio o anche solo di un anno, propongono una rassegna delle maggiori scoperte del periodo preso in esame, per lo più attraverso lo schema che sembra ormai irrinunciabile della classifica: dal viaggio sulla Luna alla mappatura del genoma, passando per la bomba atomica e la velocità dei neutrini, a seconda della scansione temporale adottata. Questa prassi giornalistica un po' logora ha tuttavia un lontano, nobile, antecedente in una serie di incisioni pubblicate in Olanda all'inizio del '600 ispirate a una serie di disegni realizzati dal pittore fiammingo Jan van der Straet (latinizzato in Stradanus, 1523-1605) raffiguranti i ritrovati più significativi degli ultimi tempi. Il titolo della raccolta, Nova reperta (ossia "Nuove scoperte"), si inserisce perfettamente nel clima di entusiasmo che da più di un secolo accompagnava i continui progressi della conoscenza, diffondendo l'idea che si fosse davvero entrati in una fase "nuova" della storia umana.
Mundus Novus era, per dirne uno, il titolo dell'opuscolo con cui Amerigo Vespucci certificò, una decina d'anni dopo il primo viaggio di Colombo, che le terre da lui toccate non potevano essere le Indie, ma - appunto - un «mondo nuovo», di cui «nessuna cognizione hanno avuto i nostri antichi» (anzi, un mondo che, stando alle teorie dei filosofi non avrebbe dovuto proprio esserci). Sull'onda di quello che fu un portentoso successo letterario, è incalcolabile la quantità di scritti che per oltre un secolo avrebbero ostentato in bella vista sul frontespizio il termine novus. Non fanno eccezione i Nova reperta di cui sopra, i quali, neanche a dirlo (perché anche se può sembrare, non facciamo proprio le cose a caso), mettono al primo posto fra le recenti novità proprio la scoperta dell'America, nel senso, appena ricordato, di scoperta di un mondo vergine, il cui merito veniva perciò giustamente attribuito a Vespucci anziché a Colombo (del resto, la proposta di chiamare quella nuova terra "America" era stata avanzata per la prima volta dal geografo Martin Waldsemuller già nel 1507).
Mundus Novus era, per dirne uno, il titolo dell'opuscolo con cui Amerigo Vespucci certificò, una decina d'anni dopo il primo viaggio di Colombo, che le terre da lui toccate non potevano essere le Indie, ma - appunto - un «mondo nuovo», di cui «nessuna cognizione hanno avuto i nostri antichi» (anzi, un mondo che, stando alle teorie dei filosofi non avrebbe dovuto proprio esserci). Sull'onda di quello che fu un portentoso successo letterario, è incalcolabile la quantità di scritti che per oltre un secolo avrebbero ostentato in bella vista sul frontespizio il termine novus. Non fanno eccezione i Nova reperta di cui sopra, i quali, neanche a dirlo (perché anche se può sembrare, non facciamo proprio le cose a caso), mettono al primo posto fra le recenti novità proprio la scoperta dell'America, nel senso, appena ricordato, di scoperta di un mondo vergine, il cui merito veniva perciò giustamente attribuito a Vespucci anziché a Colombo (del resto, la proposta di chiamare quella nuova terra "America" era stata avanzata per la prima volta dal geografo Martin Waldsemuller già nel 1507).
America, Teodoro Gallo su disegno di Jan van der Straet (ca. 1600) |
Il verso epigrammatico che accompagna l'incisione dice "Amerigo scoprì l'America: la chiamò una volta e da allora in poi lei fu per sempre sveglia". L'America è infatti raffigurata come una donna nuda, circondata da fiere in un contesto pacificamente edenico, appena svegliata dall'arrivo dell'esploratore fiorentino, stupita e (forse) un po' in apprensione per quell'inaspettato incontro, che l'aveva ridestata dal placido sonno dell'età dell'oro (scriveva Vespucci degli indigeni che erano «gente mite... e mansueta. Tutti di entrambi i sessi vanno in giro nudi senza coprire alcuna parte del corpo, e così come escono dal ventre della madre vanno fino alla morte (...) Non hanno panni di lana né di lino né di seta, poiché non ne hanno bisogno; né possiedono dei beni propri, ma tutte le cose sono comuni; vivono senza re, senza un'autorità suprema e ciascuno è padrone di se stesso. Prendono tante mogli quante vogliono (...) Non hanno nessuna chiesa, non hanno alcuna legge, né sono idolatri (...) Vivono secondo natura (...) Vivono centocinquanta anni, si ammalano raramente, e se incorrono in qualche malattia si curano da sé con certe radici di erbe»; per il testo di Vespucci cfr. Nuovi Mondi. Relazioni, diari e racconti di viaggio dal XIV al XVII secolo, Rizzoli, Milano 2010, pp. 229-246). Molto è stato scritto sul carattere simbolico di questa immagine, che raffigura un certo modo di concepire il nuovo mondo come luogo ameno e incorrotto - ma non è su questo che volevo fissarmi.
Mi interessava invece registrare le altre scoperte immortalate dalle incisioni dei Nova reperta, rinviando al sito dell'Università di Liegi chi fosse interessato e esaminarle una per una. Se alcune sono facilmente prevedibili, altre sospetto che susciteranno maggiore curiosità. Su ciascuna di esse si potrebbe scrivere un libro intero, ma per ora mi limito all'elenco:
1) La scoperta dell'America (America)
2) La bussola (Lapis polaris, magnes)
3) La polvere da sparo (Pulvis pyrius)
4) La stampa (Impressio librorum)
5) L'orologio (Horologia ferrea)
6) La distillazione (Distillatio)
7) La coltivazione del baco da seta (Ser, sive sericus vermis)
8) I finimenti dei cavalli (Staphae, sive stapedes)
9) I mulini ad acqua (Mola acquaria)
10) I mulini a vento (Mola alata«
11) Lo zucchero di canna (Saccharum)
12) Le lenti (Conspicilla)
13) Il calcolo della longitudine (Orbis longitudines repertae e magnetis a polo declinatione)
14) La politura delle armature (Politura armorum)
15) L'astrolabio (Astrolabium)
16) L'incisione su rame (Sculptura in aes)
Sulle prime il consenso era pressoché unanime. Francesco Bacone, autore a sua volta di un Novum Organum (potremmo dire una "nuova logica", essendo Organum, "strumento", il nome con cui erano note le opere logiche di Aristotele), scriveva per esempio al § 129 del suo libro: «bisogna considerare anche la forza, la virtù e gli effetti delle invenzioni, che si manifestano con maggior evidenza che altrove in quelle tre invenzioni, che erano ignote agli antichi, e le cui origini, sebbene recenti, sono per noi oscure e ingloriose: l'arte della stampa, la polvere da sparo, la bussola. Queste tre invenzioni hanno cambiato la faccia del mondo e le condizioni di vita sulla terra: la prima nella cultura, la seconda nell'arte militare, la terza nella navigazione. Da esse derivarono infiniti mutamenti, tanto che nessun impero, nessuna sètta, nessuna stella sembra aver esercitato sulle cose umane un maggiore influsso ed una maggiore efficacia di queste tre invenzioni meccaniche» (Opere filosofiche, Utet, Torino 2009, pp. 635-6). Attraverso di lui il tema sarebbe diventato un luogo comune per tutto il '600.
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