Nelle genealogie più o meno sensate che ogni tanto si provano a tirare giù per ricercare blasonati antenati alla letteratura fantascientifica si cita spesso e volentieri Luciano di Samosata e la trasvolata lunare rappresentata nella sua Storia vera; meno, invece, questo libriccino di Plutarco, che pure avrebbe tutti i requisiti per essere chiamato in causa, come complementare controparte del primo: se quello offre, infatti, il prototipo di tutti i successivi viaggi interstellari, questo – partendo da quelle macchie lunari che provocarono anche qualche dubbio a Dante mentre ascendeva al Paradiso – imposta per la prima volta seriamente il problema oggi affrontato con altri mezzi dall’esobiologia circa la presenza di specie viventi nell’universo extraterrestre. Entrambi riscoperti nel Rinascimento, suggerirono l’uno ad Ariosto il volo di Astolfo, l’altro a Keplero quelle spericolate elucubrazioni sulla possibile abitabilità della Luna che suscitarono qualche perplessità nel più cauto Galileo. Tanto immaginifico e fracassone è Luciano, quanto meticoloso Plutarco nel ricostruire col suo piglio erudito un dotto dibattito ellenistico di cui si intuisce l’ampiezza, ma che a noi è arrivato attraverso voci che sono appena più che nomi (leggere testi come questo ci dà un’idea di quanto poco sappiamo davvero del mondo antico: cosa potremmo veramente capire di Leopardi se di lui ci restasse solo una parafrasi del Tramonto della luna e tre versi del Canto notturno riportati da un manuale novecentesco?). Per una via, insomma, si arriva a Star Wars, per l’altra a Star Trek – e così mi son costruito anch’io la mia bella discendenza.
Plutarco elabora in modo un po’ più articolato quel che i BluVertigo esprimevano sinteticamente dicendo che «in altre zone di questo universo (è facile da realizzare) esiste tutto ciò che io non riesco ancora a immaginare». A proposito delle ipotetiche creature lunari, scrive infatti che noi «non abbiamo la possibilità di comprenderle né siamo in grado di costatare come convengano ad esse spazio, natura e climi diversi. É come se, non potendo giungere a toccare il mare e dovendoci limitare ad osservarlo di lontano sapessimo nondimeno che la sua acqua è amara, imbevibile, salmastra: chi ci venisse a dire che esso ospita nelle sue profondità animali numerosi grandi e molteplici e che è pieno di bestie per le quali l’acqua è ciò che per noi l’aria – costui, diremmo, racconta miti e favole impossibili. Eppure questa è propriamente la realtà, questo il nostro punto di vista nei confronti della luna quando ci rifiutiamo di credere che degli uomini possano abitarla». L’ignoranza, del resto, è reciproca: «penso addirittura che loro, gli abitanti di lassù, ravvisando nella terra una sorta di sedimento e feccia dell’universo, che a fatica traspare tra umori foschie e nebbie al fondo di uno spazio buio e immobile, avrebbero ben altre difficoltà ad ammettere che essa generi e allevi animali dotati di movimento, respiro e calore».
Dovremmo limitarci a cercare qualcosa di simile a ciò che ha permesso l’evolversi di processi organici sulla Terra oppure aprirci alla possibilità che la vita possa manifestarsi in forme realmente aliene, diverse, cioè, da come siamo abituati a riconoscerla? Entrambe le piste vengono qui esplorate. Chercher l’eau – dicono ancora oggi alla Nasa applicando un corollario della primordiale teoria di Talete. E se l’acqua si nasconde (nessuna nuvola pare oscurare il suolo lunare), che cosa vieta di pensare – dice nel dialogo Teone – che la Luna sia ricoperta di una vegetazione semidesertica? Anche da noi, in fondo, «ci sono piante, come la maggior parte di quelle arabiche, di cui si dice che non sopportino neppure la rugiada e che al contatto con l’umidità appassiscano e periscano. Non ci sarebbe quindi da stupirsi se sulla luna crescono radici, semi ed alberi che non hanno alcun bisogno di pioggia o neve e prosperano invece in un’aria rarefatta ed estiva» (che è poi lo stesso tipo di ragionamento che, sia pure riferendosi a un habitat totalmente diverso, ma non meno estremo, induce a studiare la presenza di eventuale fauna batterica nei laghi subantartici ipotizzando affinità con gli oceani sommersi sotto i ghiacci delle lune di Giove o Saturno). Ma non bisogna neanche fissarsi troppo con le somiglianze. «Chi poi pretende che i viventi di lassù abbiano con la nascita, il cibo e la vita lo stesso rapporto che è proprio dei terrestri ha l’aria di voler essere cieco di fronte alla varietà della natura, al cui interno è dato riscontrare più numerose e ingenti differenze e dissomiglianze tra esseri animati che non tra questi e gli oggetti inanimati. (…) É plausibile che gli abitanti della luna, se esistono, siano di fisico agile ed atti a sostentarsi con quel che capita». Epimenide cretese parla ad esempio di un alimento mirabilmente energetico che, assunto in quantità irrisorie (della dimensione di un’oliva, per intenderci), sarebbe in grado di nutrire per sempre un vivente: alimos, lo chiama, ossia qualcosa come “spegnifame” - e pare che ne facesse uso egli stesso per sostenere i suoi lunghi periodi di digiuno (posto che ci sia qualcosa di vero in tutto questo, perché si sa che i cretesi mentono, per qualche storico potrebbe trattarsi di una sorta di allucinogeno). Chissà in quali modi inimmaginabili la natura può aver provveduto a garantire un sostentamento a chi abita in un ecosistema totalmente diverso dal nostro!
Qui l’erudizione solletica l’immaginazione a porre domande costitutivamente filosofiche – sono quella parte della filosofia, l’inquieto e curioso indagare, che ancora continua ad animare la ricerca scientifica e la fa essere quello che è. Non c’è vera scienza, credo, che non sia, in una certa misura, sempre un po’ fanta-.
P.s. Per gli amanti dei mysteri di mystère, questo è anche il dialogo in cui Plutarco allude a un imprecisato continente situato 5000 stadi a ovest di Ogigia, nel cuore di quello che per noi è l’Atlantico, le cui coste sono bagnate da un mare difficile a solcarsi per la quantità di detriti portativi dai fiumi. C’è chi ci ha voluto
vedere indizi di una “scoperta” greca dell’America. Ma questa è
un’altra storia.
(finito l'11 ottobre 2018)
Ho parlato di
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Plutarco
Il volto della Luna
(Adelphi, 2008)
trad. di L. Lehnus
198 pp. | 15 €