Spesso filosofi e scienziati traggono ispirazione anche dalle vicende più drammatiche che contrassegnano il loro tempo. Laurent Joubert (1529-1583) fu professore nella celebre facoltà di medicina dell'Università di Montpellier ed ebbe anche importanti incarichi a corte. La sua fama è legata soprattutto a un'opera scritta in francese, gli Erreurs populaires au fait de la medicine et regime de santé (Bordeaux, 1578), nella quale - da medico dotto e togato qual era - puntava l'indice contro gli abusi praticati quotidianamente da guaritori sprovveduti e ciarlatani, i quali - con i loro rimedi approssimativi - finivano per gettare in discredito la medicina tutta, compresa quella rispettabile e scientificamente solida che Joubert si vantava di esercitare (non stiamo qui a sottilizzare sul fatto che le differenze fra i due generi di medicina non erano sempre così nette come ai medici di scuola piaceva pensare).
Laurent Joubert |
Per chiarire questo concetto Joubert elabora un articolato paragone tra il medico e il capitano che assedia o difende una piazzaforte, il cui merito non può essere misurato dalla riuscita del suo intento, posto che abbia fatto «tutto ciò che l'arte richiede». Dinanzi al corpo malato, il medico si trova infatti come il generale di fronte a una fortezza di cui conosce solo la superficie esterna, non la sua reale consistenza, né l'esatta disposizione di viveri e munizioni da parte dei difensori: tutto ciò di cui dispone per elaborare la sua strategia sono «congetture, somiglianze, esempi e osservazioni», con il loro carico di precarietà e incertezza. Oppure è paragonabile a chi è incaricato di difendere un presidio dall'assalto dei nemici: se questi riesce a difenderlo
fino allo stremo delle forze, dopo che sono stati mangiati tutti i cavalli, gli asini, i cani, i topi e i gatti presenti nel luogo assediato e poi anche pelli, pergamene e altri cibi penosi (come dice sia accaduto a quelli di Sancerre, che nell'anno 1573 si spinsero a mangiare - non so come - perfino l'ardesia), persa la maggior parte dei suoi uomini, le mura tutte perforate e non avendo più di che sostenersi, costui - costretto infine ad arrendersi - non meriterà meno lodi (se non anzi di più) di colui che avrà salvato senza particolare fatica la sua posizione, ben provvista e dotata di tutto l'occorrente (Erreurs, pp. 81-2).
Un'immagine del genere, così minuziosamente dettagliata, acquista tutta la sua piena espressività se è ricondotta nel contesto pesantissimo delle guerre di religione che dilaniarono la Francia per oltre un trentennio nella seconda metà del XVI secolo, quanto situazioni come quella appena descritta erano tragicamente all'ordine del giorno e non erano pochi quelli che potevano richiamarle alla mente per averle viste coi propri occhi. Fra tanti episodi di ferocia, uno di quelli che più colpì e impietosì l'opinione pubblica fu proprio l'episodio cui qui allude Joubert, vale a dire l'assedio di Sancerre. Questa cittadina ugonotta sulla Loira a nord-est di Bourges, nella regione del Centre, fu circondata per cinque lunghi mesi dalle truppe cattoliche a partire dal marzo 1573, prima di capitolare, il 24 agosto, esattamente un anno dopo il massacro della notte di San Bartolomeo (in seguito al quale molti calvinisti si erano appunto asserragliati nella fortezza). Della vicenda è rimasta sinistra memoria nella letteratura francese (basti pensare che ne parleranno ancora Voltaire e l'Encyclopédie due secoli dopo) perché, rimasti privi di rifornimenti dall'esterno a causa del prolungato assedio, i cittadini di Sancerre furono costretti a cibarsi di tutto ciò che avevano a disposizione - come ricorda lo stesso Joubert, e spingendosi anche oltre ciò che lui rievoca, se è vero che non mancarono neppure fenomeni di cannibalismo.
Il castello di Sancerre in un'incisione di inizio '600 (c) sancerre.cg18.fr |
Questo fatto non passò senza grande stupore e terrore di tutti coloro che ne sentirono parlare. Ed essendomi io stesso incamminato verso il luogo in cui abitavano, e avendo visto l'osso e il resto della testa di questa povera bambina, pulito e rosicchiato, e le orecchie mangiate; avendo visto anche la lingua cotta, spessa un dito, che quelli erano in procinto di mangiare quando furono sorpresi; e le cosce, le gambe e i piedi in un calderone con aceto, spezie e sale, pronti per essere cotte e messe sul fuoco; e le spalle, le braccia e le mani tenute insieme con il petto spaccato e aperto, apparecchiate anch'esse per essere mangiate, io ne fui così atterrito e sconvolto che tutte le mie viscere ne furono scosse. Infatti, per quanto abbia vissuto dieci mesi tra i selvaggi Americani in Brasile e li abbia visti sovente mangiare carne umana (in quanto mangiano i prigionieri che catturano in guerra), provai comunque un enorme terrore nel vedere questo pietoso spettacolo, che non si era ancora mai visto (a quanto credo) in una città assediata nella nostra Francia (p. 146-7).
Il racconto prosegue con la descrizione dell'iter giudiziario che portò alla condanna a morte dei due sposi, sul cui passato emersero pian piano torbide rivelazioni. Ne riparliamo magari appena finisco di costruire il plastico di Sancerre.
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