C’è un calcolo che mi provoca sempre le vertigini e un certo disagio professionale: proiettando tutta la storia della Terra (e della Terra soltanto) sulla scala di un anno, dovremmo collocare la comparsa di Homo sapiens grosso modo nel primo pomeriggio del 31 dicembre e l’età storica vera e propria (quella che comincia con Sumeri ed Egizi, per intenderci) una manciata di secondi prima che si avvii il classico countdown verso la mezzanotte. C’è insomma un tempo lungo, profondissimo, di cui non siamo che un’increspatura – noi coi nostri matrimoni dinastici, le nostre battaglie, le interminabili dispute per l’Alsazia e la Lorena. É quando siedo e miro questi infiniti tempi che a me sovvien l’eterno. C’è da diventare più spinoziani di Spinoza. Se non fosse per un dettaglio, non irrilevante: che tutta quesa vicenda è attraversata, sin nel più infinitesimo dettaglio, dalla contingenza. Questo vale per la vita in generale, e per quella dell’uomo in particolare, la cui storia – ci spiega Tattersall, che di mestiere fa il paleoantropologo – «è stata una saga dinamica, (...) una storia di sperimentazione evoluzionistica, di esplorazione dei molti modi in cui è evidentemente possibile essere un ominide», sotto la pressione selettiva di situazioni ambientali sempre impreviste e imprevedibili (benedetto sia sempre l’asteroide che troncò la tranquilla routine dei grandi sauri). Ci sono infatti molti modi di essere uomini. Noi Sapiens non ce ne accorgiamo, perché – unica fra le specie – siamo rimasti soli e ci siamo elaborati l’immagine edificante di un’evoluzione che troverebbe in noi il punto culminante di un ininterrotto progresso cognitivo e culturale. Eppure, non più tardi di 50 mila anni fa c’erano almeno cinque varianti diverse di uomini che girovagavano sul pianeta. Sicché gli unici veri incontri ravvicinati degni di questo nome, ben prima dei dischi volanti, furono quelli, tutti terreni, intercorsi tra questi gruppi così lontani così vicini, a cominciare dai contatti avvenuti, probabilmente da qualche parte in Palestina, tra i Neandertal e i nostri antenati provenienti dall’Africa, eredi di un manipolo ristretto di un centinaio o giù di lì, da cui deriviamo tutti e sette miliardi, nessuno escluso. Vista sotto questa luce, l’impresa di scheggiare una selce è più decisiva della scissione dell’atomo. E forse dovremmo smettere di chiamare la caverna di Lascaux “la Sistina del Paleolitico” e pensare piuttosto a Michelangelo come a un epigono minore dell’anonimo genio rupestre che ha inventato la pittura. Le cose veramente difficili sono state fatte da uomini di cui non sappiamo nulla, e in effetti a leggere certi testi di world history si ha la sensazione che dalla scoperta dell’agricoltura alla macchina di Watt non sia accaduto nulla di realmente significativo all’umanità. Questo libro è un’utile guida per orientarci in questo mondo delle origini, che non sarà forse il solo che conta, ma dalla cui esplorazione usciamo con un misto di meraviglia e di umiltà, lo stupor panico di fronte a un’esistenza che non ha nulla di scontato.
Ps: ancora nel vestibolo, dopo neanche una pagina, c’è una considerazione fulminante. A quelli che affermano con sufficienza che l’evoluzione è “solo una teoria” rispondiamo: bella gioia, ma cosa mi dici mai, tutta la scienza è fatta “solo di teorie”. La scienza è precisamente quel sistema di conoscenze che per definizione è provvisorio e fondato sul dubbio: «l’idea che alcune credenze siano “scientificamente dimostrate” è un ossimoro».
(finito il 19 gennaio 2017)
Ho parlato di
Ho parlato di