Immagino che ciascuno di noi abbia un proprio Virgilio a cui affida il compito di condurlo, per quanto possibile, dentro alle segrete cose in quei settori di studio che per ragioni di tempo o di competenza non è in grado di approfondire in prima persona oltre una certa soglia di complessità – uno o più d’uno, giacché l’enciclopedia è immensa e ogni sua ramificazione richiederebbe una guida adeguata. Io, per esempio, quando ho bisogno di chiarirmi le idee in fatto di teoria evolutiva o paleontologia, è a Pievani o Manzi che anzitutto mi rivolgo, non per prostrarmi ignobilmente al loro giudizio come fa Fazio con Burioni, ma perché la familiarità generata da una regolare frequentazione dei loro contributi mi permette di comprendere sempre meglio la portata della loro visione e di distinguere ciò che è generalmente condiviso da quelle che sono valutazioni o idiosincrasie personali, rispetto alle quali, eventualmente, sentire anche altre versioni, per raddrizzare il tiro. In questo modo trovo che sia possibile arrivare a formarsi un’idea relativamente adeguata delle questioni, pur restando nell’ambito delle conoscenze di seconda mano, assai più di quanto non consentirebbe un disordinato prestare ascolto a tutte le voci che mi capitano a tiro. Tutto questo per dire che da un po’ di tempo a questa parte ho arruolato Guido Tonelli nel gruppo di coloro ai quali mi rivolgo per provare a orientarmi nella fisica contemporanea.
Così facendo, non ho fatto altro che abboccare all’amo. Tonelli, infatti, conosce bene i suoi polli, e sapendo di rivolgersi non a dei colleghi, ma a letterati come il sottoscritto, che per capire qualcosa hanno bisogno di tanti giri di parole, e non di formule, li blandisce raccontando episodi come l’incontro che ha avuto con uno degli ingegneri capo della Ferrari, nel corso del quale, una volta scoperto che anch’egli aveva fatto il liceo, vestiti gli abiti curiali, si è ritrovato a conversare amabilmente con lui sulla Germania di Tacito, neanche fossero nella Firenze di Lorenzo il Magnifico anziché a Maranello. «Dovrebbero saperlo quelli che, solitamente digiuni di scienza e tecnologia, sostengono che per imboccare la via dell’innovazione si dovrebbero ridurre il peso e l’importanza degli studi classici. Con questa motivazione qualche grigio funzionario ministeriale vorrebbe addirittura abolire le traduzioni dal greco e dal latino al liceo classico. Nel mondo della ricerca dura, quella segnata dalla più feroce competizione internazionale, lavorano moltissimi scienziati che hanno scelto di fare fisica proprio perché hanno compiuto studi classici. Persone che non solo adorano il greco e il latino, ma spesso conoscono la letteratura, amano discutere di storia o di filosofia e sono appassionati d’arte. Come dice Semir Zeki, neuroscienziato dello University College di Londra, “il cervello non distingue tra cultura umanistica e cultura scientifica”». Non si tratta però solo di un sotterfugio escogitato per vendere qualche copia in più a chi sa di latinorum. Più che un vero e proprio testo divulgativo – molto sintetico anche per questo genere di opere, trattandosi di una versione, leggermente rimpolpata, di una conferenza di cui si trovano tracce in rete – questo libretto è in realtà un appello affinché si ricucisca il dialogo tra queste due culture.
Certo, prendendo spunto da due delle più celebrate scoperte scientifiche di questi ultimi anni – il bosone di Higgs e le onde gravitazionali – ci viene offerto qui un ragguaglio sui programmi di ricerca più avanzati cui si stanno dedicando i fisici di oggi, programmi che in certi casi rasentano letteralmente quella che per molti di noi, mentalmente fermi se va bene a Newton e agli esercizi di meccanica delle superiori, rientra ancora nel campo della fantascienza. Da un lato, si sta già imbastendo la costruzione di un acceleratore di diametro quadruplo rispetto a quello del Cern allo scopo di produrre collisioni sempre più potenti fra le particelle elementari e ricostruire in laboratorio le condizioni che si sono verificate subito dopo il Big Bang, per capire – se possibile – che cosa abbia innescato le reazioni che hanno prodotto il mondo così come lo conosciamo, fatto di materia e non di antimateria, e anche da dove venga fuori quella materia oscura che costituisce più di un quarto della massa totale dell’universo. Dall’altro, a interferometri via via più sofisticati, costruiti addirittura nello spazio, sarà assegnato il compito di registrare le onde gravitazionali – quelle “vibrazioni” dello stesso tessuto spaziotemporale – risultanti da catastrofi cosmiche inimmaginabili (buchi neri che divorano intere galassie, per intenderci), nella speranza di poter intercettare dei residui del botto iniziale che, 13,7 miliardi di anni fa, ha dato origine a tutto ciò che c’è. Ma l’obiettivo di questa panoramica non è semplicemente quello di lasciarci a bocca aperta di fronte ai grandi progressi della fisica sperimentale. No, se ci pone di fronte a scenari di questo genere, in cui pare tutt’altro che inverosimile parlare di “multiversi” e in cui il nostro cosmo non appare più come un “pieno” opposto a un “nulla” da cui sarebbe emerso, ma come una semplice – si fa per dire – modalità diversa di “vuoto”, è perchè «mi meraviglia – commenta Tonelli – che di questi argomenti non si parli, che questo punto di partenza, seppure provvisorio e parziale, non diventi sapere diffuso, conoscenza condivisa».
Insomma, dove sono gli umanisti, i filosofi e gli artisti - dove sono coloro i quali avrebbero la sensibilità, l’apertura mentale, lo «sguardo “lungo"», per «portare l’umanità a fare i conti con quei cambiamenti di paradigma che potrebbero essere indotti da nuove, eventuali scoperte scientifiche nei prossimi decenni»? Le scoperte non basta farle – questo è il compito della scienza, che segue la sua strada. Le scoperte vanno poi anche “pensate”, penetrate, assimilate, affrontate nelle conseguenze che implicano – e qui, per Tonelli, gli scienziati dovrebbero cedere il passo. Ma rischiano di non poterlo fare perché chi avrebbe i requisiti per intestarsi tale compito non è sufficientemente aggiornato, fermo a categorie che erano già vecchie quando le stava studiando per la prima volta, convinto magari pure di essere all’avanguardia. Un punto, in particolare, meriterebbe un surplus di riflessione. Come già spiegava in un suo libro precedente, l’universo – dice Tonelli – è tutt’altro che stabile; al contrario, l’equilibrio su cui si regge dipende da una serie di condizioni che potrebbero saltare in qualsiasi momento, facendo sparire tutto. Ma questa presa di coscienza che «quelle enormi costruzioni che ci parevano immortali, sono esse stesse fragili e sottoposte ai rischi», che «non c’è nulla di eterno e immutabile in ciò che ci circonda, nemmeno l’universo stesso», che «quella che consideravamo una nostra specifica debolezza, un’anomalia caratteristica dei viventi, dalla quale le grandi strutture cosmiche apparivano immuni, sembra essere condizione generale dell’esistente», che, come diceva Montaigne, «il mondo non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano senza posa: la terra, le rocce del Caucaso, le piramidi d’Egitto, e per l’oscillazione generale e per la loro propria. La stessa costanza non è altro che un’oscillazione più debole», e che, dunque, «la nostra fragilità» è in realtà «un tratto che abbiamo in comune con tutte le cose» - tutto questo non meriterebbe di essere adeguatamente elaborato? «Cosa vorrebbe dire (...) sul piano etico, fare i conti con questa condizione di radicale, irriducibile, vulnerabilità?». Cosa vuol dire che neanche l’essere è, che la Natura condivide la stessa sorte dell’islandese che la interroga? Citando, proprio nelle ultime pagine, uno spunto di Murakami, Tonelli ci invita a pensare che, esattamente come il Giappone, «il nostro intero universo vive sul nido dei terremoti». La condivisione di un’irriducibile precarietà non potrebbe diventare la premessa di una rinnovata forma di solidarietà basata sull’empatia che non coinvolge solo gli uomini in una social catena, ma il cosmo tutto? Ce ne sarebbe, insomma, di lavoro, per degli umanisti che si rendessero finalmente conto che siamo da vent’anni nel XXI secolo.
(finito il 27 agosto 2019)
Ho parlato di
Guido Tonelli
Cercare mondi.
Esplorazioni avventurose ai confini dell'universo
(Rizzoli, 2017)
182 pp. | 17 €