Fa sempre un po' effetto leggere un romanzo di fantascienza ambientato in quello che nel frattempo è diventato già il nostro passato. L’“anno dei dominatori” è infatti un ucronico 2010, in cui una specie aliena così evoluta da aver imparato a trapiantare le proprie menti in organismi ospiti stabilisce un primo contatto con l’umanità promettendo di rimettere in sesto il nostro pianeta devastato dal riscaldamento globale e dall’inquinamento. «Neppure quattrocento anni prima gli indiani avevano venduto l’isola di Manhattan agli olandesi per una cifra ridicola. Le nazioni della Terra, ora, avrebbero ottenuto ben di più»: la fusione fredda, gli impianti di dissalazione, le industrie alimentari, l’asfalto eterno... In cambio di tutto questo ben di Dio, si chiede solo la possibilità di costruire stazioni di transito attraverso cui dei corrieri appositamente selezionati e sufficientemente masochisti per sostenere il trauma del teletrasporto possano veicolare, impacchettate nei loro cervelli, delle coscienze aliene perché vengano trasferite da chissà dove nei corpi di tossici la cui identità è stata resettata dal consumo di una droga extraterrestre chiamata Beatitudine. Massimo riserbo sui dettagli dell’operazione e nessuna ulteriore informazione sulla tecnologia che la consente.
Ce n’è abbastanza per sentire puzza di bruciato: Timeo Danaos et dona ferentes. Curiosamente gli unici che senza saperlo fanno memoria di questo motto sono quegli stessi integralisti islamici che - si presume - avrebbero dovuto distruggere tutte le copie dell’Eneide prima o dopo aver fatto saltare in aria i Buddha di Bamyan. Il resto dell’umanità, invece, abbocca, ed anzi fa a gara per assicurarsi una linea diretta con i mondi alieni. Ahinoi, dietro le profferte di collaborazione interplanetaria si nasconde davvero un piano di conquista globale, previa ricostruzione di un habitat più consono alla vita rispetto a quello avvelenato che abbiamo allestito noi dopo appena trecento anni di industrializzazione. «Noi umani abbiamo sognato per secoli di viaggiare per lo spazio, di modificare la nostra biologia fino a diventare, in effetti, gli alieni delle nostre fantasie. Invece, è il contrario. Gli alieni diventeranno noi». É la nemesi del colonialismo. Non per nulla, l'invasione comincia dalla Gran Bretagna.
Ma l’occupazione della Terra non è che l’ennesimo passo di una storia cominciata molto prima e destinata a durare ancora a lungo, in vista di uno scopo ben più sofisticato che il mero dominio intergalattico. Questi non sono marziani da b-movies: dopo aver consumato il proprio ambiente natio ed essere trasmigrati via via in altri viventi, il loro «piano finale» consiste infatti nel «diventare degli esseri di pura energia e sopravvivere in qualche modo al collasso dell’universo, da qui a qualche miliardo di anni, e continuare a vivere in un coraggioso, nuovo universo. (...) Con ogni mondo che conquistano, sembra che ottengano qualche nuova conoscenza, e questa è la ragione tre della loro pirateria planetaria. Mettete insieme abbastanza conoscenze, e forse sul lungo corso potrete diventare qualcosa di simile a Dio». Sulla Terra, però, questi Finti-Uomini (Mockymen, titolo originale del romanzo) si imbattono anche in qualcosa di inaspettato ed estremamente interessante per i loro esperimenti metempsicotici, vale a dire un ex-SS che, a coronamento di un rituale nazi-tibetano consumato nel parco Vigeland di Oslo (dove si sarebbe dovuto svolgere il Ragnarok ariano, il supremo conflitto spirituale contro le forze nemiche), riesce a reincarnarsi in un proprio discendente con un supremo, titanico, sforzo di volontà - perché «una volontà adeguatamente mirata può ottenere qualsiasi cosa». Sta a vedere che i fanatici dell’antica Thule ci avevano visto giusto: tutto l’armamentario misticheggiante coltivato nel loro circolo «credo che fosse una visione del futuro, un’intuizione della venuta dei Finti-Uomini, superiori a noi, a occupare i nostri corpi umani, a prepararsi per soppiantarci. Si mascherano come uomini. Il nazismo fu mal diretto, eppure il nazismo parlava di ebrei tra noi come membri di una specie differente che si mascheravano come esseri umani». Immagino sia più o meno la stessa poltiglia ideologica che marciva nella testa di Breivik quando escogitò la strage di Utoya. Per paradosso, a salvare capra e cavoli ci penserà (con l’appoggio dei mullah e lo zampino dei servizi segreti di sua Maestà) un manipolo di alieni alienati, pronti a tradire il loro stesso sangue per salvaguardare il pluralismo biologico dell’universo.
Come spesso capita con questi romanzi, la trama si ingarbuglia e ti confonde, muovendosi tra noir scandinavo, spy-story spaziale e utopia postumana, però vuoi mettere il gusto di starsene spaparanzato in spiaggia fantasticando di menti disincarnate, nuove soglie della coscienza cosmica, Sé che diventano qualcos’altro travalicando le barriere dell’Io e altre diavolerie del genere mentre lì intorno imperversano le solite, interminabili partite a racchettoni?
(finito il 29 luglio 2018)
Ho parlato di
Ho parlato di
Ian Watson
L'anno dei dominatori
(Mondadori, 2018)
(Urania Collezione 185)
trad. di C. Scerbanenco
266 pp. | 6, 90 €
(ed. or.: Mockymen, 2003; 1ª ed. italiana 2005)
Nessun commento:
Posta un commento