Io non capisco molto quei libri in cui si sottrae spazio al testo per corredarlo di prefazioni e postfazioni che si potrebbero riassumere nel fantozziano “è un bel direttore!” applicato, nella fattispecie, all'autore. Grazie tante. Purtroppo questa è la versione del De indis che sono riuscito a recuperare e me la sono dovuta far piacere (con meno salamelecchi ne sarebbe venuta fuori senza problemi un’edizione integrale; so che ne esiste un’altra in italiano, più scientifica, ma com’è difficile studiare fuori dal circuito delle biblioteche specializzate!). Che poi, editorialmente parlando, un suo perché questo volume ce l’avrebbe pure, inserito com’è in una collana di presentazione di quei classici del pensiero cristiano che hanno esercitato un’influenza persistente sulla cultura occidentale, come le Confessioni di Agostino o la Summa di Tommaso. L’inserimento di Vitoria in questa Hall of fame è meno scontato, e anche se può apparire un po’ come una foglia di fico stesa sul genocidio americano, ha il valore di una definitiva presa di coscienza. L’idea è che la sua importanza risieda nell’aver riconosciuto agli indios piena dignità umana e correlativi diritti – e questo sicuramente è vero; resta da vedere se sia proprio questo il suo lascito autentico e duraturo (e su questo ho purtroppo qualche dubbio).
Francisco Vitoria appartiene a quel gruppo di teologi spagnoli che, nel cuore del Cinquecento, si proposero di ristrutturare l’ordine cristiano elaborato dalla Scolastica alla luce delle nuove sfide lanciate dall’incipiente modernità – tra cui, appunto, la scoperta di quel Nuovo Mondo che le tradizionali categorie giuridico-teologiche codificate in epoca medievale facevano così fatica a inquadrare, evidenziando le stesse difficoltà di tenuta che, di lì a poco, avrebbero incontrato gli argomenti aristotelici di fronte all’esplosione dell’universo copernicano. Lo sforzo è ragguardevole e merita attenzione. Dimostra anche l’ardire di una teologia che non esita a esporsi su delicate questioni di pubblico interesse, non solo con generici per quanto benemeriti appelli, ma con tutto il pathos di un ragionamento rigoroso capace di sgretolare le costruzioni ideologiche dei falsi devoti. In virtù di questo approccio, Vitoria si spinge a negare qualsiasi valore legale alle concessioni papali che avevano ratificato la spartizione del globo terrestre tra spagnoli e portoghesi subito dopo l’impresa di Colombo. C’è tutto un mondo, là fuori, su cui il papa non ha la minima giurisdizione – dice – e potrebbe forse non averla mai, almeno in teoria. In questo vasto mondo abitano popoli estranei all’orizzonte cristiano, ma non all’orizzonte umano, ed è semmai a partire da questa base comune che si può e si deve trattare con loro. Certo, questi americani sono un po’ strani, girano nudi e hanno abitudini sessuali quantomeno discutibili, eppure sanno gestirsi, possiedono magistrati, templi, mercati – indizi tutti di una forma di organizzazione diversa dalla nostra, ma legittima. Non ci si può semplicemente presentare, imporre loro (in latino) di sottomettersi a un’autorità remota e poi punirli perché non lo fanno. Sì, forse non farebbe loro male affidarsi alle più sapienti mani europee, come un figlio si affida a un padre o un discepolo a un maestro, per abbandonare quella situazione di oggettiva inferiorità, anzitutto tecnologica, di cui hanno dato prova e raggiungere quanto prima un grado di civiltà superiore, ma ci sono molti sospetti sul fatto che quelli che si presentano loro come pastori, inebriati di potere, non ne abusino trasformandosi in lupi per queste pecorelle (del resto, la rete di missionari domenicani forniva a Salamanca informazioni di prima mano sulle malefatte dei conquistadores, ed è anche per togliere loro ogni alibi che Vitoria incentra la sua prolusione magisteriale del 1539 su questo argomento: era ancora fresca la memoria della proditoria uccisione di Atahualpa in Perù ad opera di Pizarro).
E tuttavia, probabilmente al di là delle sue intenzioni, con questo suo modo di ragionare Vitoria finisce anche per consegnare ai suoi avversari un argomento destinato ad avere ben più fortuna di quelli formulati contro lo sfruttamento coloniale. Gli indios sono umani a pieno titolo, d’accordo; dunque, sono titolari degli stessi diritti e doveri riconosciuti agli altri uomini. Ora, fra questi diritti inalienabili rientra anche quello di muoversi liberamente su tutto il pianeta, senza restrizioni né ostacoli. Proprio così: «in effetti in tutte le nazioni è considerato inumano, se non vi è un motivo speciale, non ricevere gli ospiti, o ricevere male i pellegrini e, al contrario, si considera umano comportarsi bene con i pellegrini, a meno che i pellegrini seminino il male quando si recano nelle nazioni straniere». Siamo umani, apparteniamo alla stessa famiglia, è naturale (si badi: non “cristiano”) aprire la propria porta a un simile in difficoltà, come è naturale accostarsi a un connazionale quando ci si trova all’estero (solo che qui non c’è estero che tenga, poiché i confini sono una rete artificiosamente sovrapposta a quella patria comune che il mondo). Fa bene ripeterselo, e fa bene ripeterlo ai cantori delle nostre tradizioni: è questa la nostra tradizione! E allora via gli steccati e via le dogane: se gli spagnoli non hanno il diritto di depredare gli indios, gli indios non hanno dal canto loro il diritto di chiudere i porti agli spagnoli, qualora si presentino con la borsa a tracolla anziché armati di cannone. É già un passo in avanti, senza dubbio. Ma dove si va a finire, partendo di qui? Amitav Ghosh, in quel grandioso libro che è Mare di papaveri, ambientato al tempo della guerra dell’oppio, lo fa dire così a un commerciante inglese trapiantato in India: «La guerra, quando verrà, non sarà per l’oppio. Sarà per un principio, per la libertà... libertà di commercio e libertà del popolo cinese. Il Libero Commercio è un diritto conferito all’Uomo da Dio, e i suoi principi valgono sia per l’oppio sia per qualunque altra merce. tanto più che, mancando l’oppio, a milioni di nativi sarebbero negati i duraturi vantaggi dell’influenza inglese». Non c’è nessuna grande idea che non si riesca a pervertire. Guarda che fine ha fatto la sovranità popolare...
(finito il 19 luglio 2018)
Ho parlato di
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Ramon Hernandez Martin
La lezione sugli Indios di Francisco de Vitoria
(Jaca Book, 1999)
Trad. di S. Casabianca
128 pp. | 13,43 €
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