Questo, lettore, è un libro furbetto, scritto in odore di Expo più che di noce moscata da un autore che magari è anche un genio nel suo campo, se solo si capisse quale fosse il suo campo – che comunque non è la storia. Probabilmente si diletta di cucina, a giudicare dal compiacimento con cui infarcisce il testo di ricette e ancor più dalla soddisfazione che esibisce quando dimostra, sfogliando Apicio, che i romani, anziché seguire la dieta mediterranea, mangiavano in realtà in modo molto simile ai cinesi di oggi (l’equivalente della salsa di soia sarebbe quello che le fonti chiamano liquamen: in pratica, il gusto dominante sulla tavola di Trimalcione sarebbe stato l’agrodolce). Per dare ciccia a questi spunti(ni), si costruisce però tutto un ampio discorso intorno all’idea secondo cui a far girare l’economia non sarebbe tanto il sistema dei bisogni naturali dell’uomo, quanto quello della rappresentazione, e che dunque le principali tappe della storia umana sarebbero determinate da svolte nella storia della circolazione delle merci di lusso. Tali sono, appunto, le spezie, che gli europei si sono andati a cercare fino in capo al mondo, “scoprendolo” così incidentalmente per intero, proprio perché non servivano assolutamente a nulla, se non a significare lo status dei potenti (a differenza, che so, del petrolio per la società industriale). Cosicché, quando, con poca sagacia, si sono immesse sul mercato tonnellate di pepe, rendendolo accessibile ai più, il suo valore simbolico, prima ancora che economico, è crollato ed è subentrata la ricerca di nuove prelibatezze (ovvero cacao, té e caffé, che si sarebbero però rapidamente imborghesite, diventando alfine rivoluzionarie). Conseguenza di ciò sarebbe stato un riassestamento della teoria culinaria, con l’avvio – a metà Seicento – di quel processo di “segregazione dei sapori” che avrebbe portato ai moderni menu occidentali, in cui il salato sta col salato e il dolce con il dolce. Per dire tutto questo si buttano lì molte informazioni, tutte di seconda mano, che possono incuriosire chi non si è mai occupato di viaggi ed esplorazioni. Se non altro ci ricordano che il té in India ce l’hanno portato gli inglesi e non viceversa, che l’esotico spesso è apparente e che la gourmanderie ha tendenzialmente la coscienza sporca.
(finito il 4 agosto 2016)
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