Piccolo aneddoto con doppia morale. Di ritorno da una lezione in università, un giovane studente di filosofia incontrò un giorno un giovane professore di storia di fronte all’invitante scaffale di una libreria centrale di Torino. Esauriti i convenevoli, il più grande dei due d'improvviso esclamò, con postura a metà tra il penitente e l'uomo di mondo: “ma lo sai quanti libri mi è capitato di citare senza averli mai letti? Questo, per esempio” - e afferrò uno di quei superclassici effettivamente troppo noti per prendersi pure la briga di perderci del tempo sopra (eddai, che gusto c'è se conosci già l'assassino?). L'altro ne restò un po' sconfortato. All'epoca credeva ancora che una vita sola fosse sufficiente per leggere quantomeno l'essenziale, mentre quel colloquio cominciò ad aprirgli gli occhi su come andassero davvero le cose una volta usciti dalla bambagia dell'accademia. Però su una cosa almeno pensava di poter resistere: si parla solo di ciò che si legge davvero, non si discute.
E invece no, ci sono cascato anch'io – e pure un sacco di volte, anche in contesti seri e solenni, perché si fa presto a dirsi socratici, ma poi al dunque spesso si cede e ci si ritrova – per capriccio, gioco, per necessità - a far finta di sapere. Per dirne una, stando a quanto da me scritto in una delle risposte alle domande del concorso a cattedra, io questo libro qui dovrei averlo letto almeno due-tre anni fa, eppure eccomi qua. Per la verità non si trattava di una mera millanteria. Ne avevo sul serio divorato una parte, in una versione digitale, assimilando, per così dire, il nocciolo della questione. L’idea – cioè - per cui la ragione della conquista europea del Nuovo Mondo andrebbe ascritta a processi iniziati più di diecimila anni prima, con la rivoluzione agricola nel Neolitico; e poi che la diversità fra le culture andrebbe spiegata in termini geografici e ambientali anziché su basi biologiche; e che la storia potrebbe e dovrebbe essere trattata come una scienza a tutti gli effetti (con tanto di esperimenti), ma con un metodo tutto suo, che richiede un continuo scambio interdisciplinare e un intreccio di competenze – e poi tante altre cose ancora che mi sembra vano elencare perché mi sembrerebbe di raccontare la favola di Cappuccetto Rosso. Questo testo arguto e pieno zeppo di domande, capace di saltare dalla paleobotanica alla sociologia delle migrazioni, animato da una curiosità vorace e dal coraggio di muoversi su una scala temporale che, come recita il sottotitolo, copre la “storia del mondo negli ultimi tredicimila anni” mi aveva a tal punto appassionato che, giunto più o meno a un terzo dell'opera, decisi di comprarlo in edizione cartacea, perché pensai che libri come questo uno che fa il mio mestiere deve possederli, pasticciarli, consumarli a forza di ritornarci sopra, portarli in classe e magari imprestarli anche ai suoi studenti.
Di che genere di libri sto parlando? Di quelli che, per un motivo o per l’altro, segnano uno snodo importante nella storia intellettuale, introducono categorie promettenti per provare a comprendere il mondo in cui viviamo, sfruttando tutte le potenzialità di cui una ragione attenta alla complessità può servirsi, sia sul piano tecnologico che su quello metodologico. Libri che possono finire nelle mani di un diciottenne e offrirgli una chiave d'accesso a una realtà che è o sarà la sua, e non quella di un suo coetaneo del Seicento o dell'Ottocento (il quale giustamente leggeva di nascosto i libri che oggi facciamo leggere a scuola). Libri che posso mostrare a quegli allievi che ogni anno mi chiedono se esistono ancora dei filosofi viventi, dal momento che quelli di cui parliamo di solito sono tutti morti. Libri in cui le discipline dialogano fra loro in modo intelligente, mostrando che è bene per uno storico saperne di genetica come è bene per un medico saperne di poesia, perché la ragione sarà pure una sola come diceva Cartesio, ma è multiforme, è plastica, non può pensare di ritagliarsi un angolino grazie alle sue regolette per poter dire che quello è il mondo vero e tutto il resto è letteratura. Ecco: esistono libri di questo tipo, che un corpo docente aggiornato (direi di più: un qualsiasi professionista, sia avvocato o economista) dovrebbe conoscere a prescindere dalle rispettive aree di competenza e che degli studenti interessati potrebbero sfogliare con la stessa sensazione di stare sul pezzo che potevano avere i giovani hegeliani quando sentivano parlare il loro maestro? Non smetterò mai di suggerire la lettura diretta dell’Apologia di Socrate, ma non ci si può neanche fermare lì.
Non è a un canone normativo, ovviamente, che penso. Però, in questi anni in cui le edicole traboccano degli allegati più disparati ai quotidiani ho già visto trite e ritrite ristampe filosofiche (che per bene che vada si spingono al massimo ad Heidegger e Popper), diverse proposte di storia e anche alcune collane di taglio più scientifico: possibile che nessuno abbia mai pensato a una raccolta tipo “i grandi classici per capire il presente” o “i grandi pensatori di oggi”, “i venti libri che ci aiutano a comprendere il mondo contemporaneo”? Una traccia, una pista, dei punti di riferimento per gettare qualche ponte fra continenti sempre più alla deriva: non chiedo altro. Toccasse a me stilare una proposta, Armi acciaio e malattie (che nel frattempo ho finalmente ripreso e concluso) lo inserirei di sicuro. Quali altri volumi potrebbero fargli compagnia?
(finito l'11 agosto 2018)
Ho parlato di
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Jared Diamond
Armi, acciaio e malattie.
Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni
(Einaudi, 2014)
400 pp. | 14 €
(ed. or. Guns, Germs, and Steel. The Fates of Human Societies, 1997)
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