Per carità, se Rovelli lo ha fatto con la fisica quantistica, cosa ci sarà mai di così complesso da non potere essere ridotto nello standard ormai codificato delle sette, mi raccomando brevi, lezioni? Io, che non sono nessuno, lo stoicismo a scuola lo comprimo ancora di più – non è quello il problema. M’infastidisce però la sciatteria dell’editore, che a un redivivo Cartesio chiederebbe di integrare il manoscritto delle sue Meditazioni in modo da poterle intitolare anch’esse, appunto, Sette brevi lezioni di filosofia prima, per dare al pubblico l’impressione di un sapere a presa rapida e di facile consumo. Qui, però, le cose stanno un po’ diversamente. Degli stoici – e in particolare degli stoici di cui parla Sellars, che non sono tanto i fondatori, quanto soprattutto gli epigoni – si è in un certo senso costretti a parlare in breve, per il semplice motivo che qualsiasi parafrasi rischierebbe di apparire goffa come la spiegazione di una barzelletta.
La teoria, in effetti, è piuttosto semplice. Spogliata di tutti i suoi presupposti fisici e metafisici, Sellars la riassume più o meno così, con parole che non a caso sono parzialmente riprese dalla peculiare grafica di copertina di questa collana: «e se qualcuno ci dicesse che molte delle sofferenze della nostra vita dipendono semplicemente dal modo in cui pensiamo le cose?». Pare l’uovo di Colombo. Se ci convincessimo davvero che il più delle volte non possiamo fare nulla per cambiare davvero quello che accade, ma siamo invece sempre in condizione di cambiare il nostro modo di vederlo, la felicità non sarebbe finalmente a portata di mano? In fondo dipende solo da noi scegliere se considerare un evento, che di per sé è solo un evento, un puro fatto – poniamo, la perdita del lavoro – «come se fosse un colpo terribile oppure come se fosse una sfida positiva». Analogamente, dipende solo da noi decidere come reagire a un atto di ostilità da parte di qualcuno. Se non reagiamo d’impulso, tirati per la catena dell’emotività, e ci mettiamo lì, con molta calma, prendendoci il tempo per riflettere, possiamo ad esempio capire che, se qualcuno che ci muove una critica dice il vero, «allora ha messo in luce una mancanza che possiamo ora affrontare. In questo caso, ci ha fatto un favore. Se ciò che dice è falso, allora è in errore e l’unico a essere danneggiato è lui. In entrambi i casi, noi non subiamo alcun danno dalle sue osservazioni critiche. L’unico modo in cui le sue osservazioni potrebbero causarci un danno reale e serio è se noi ci lasciassimo trascinare in uno stato di ira». Una volta che ci poniamo in questa prospettiva e non leghiamo più la nostra felicità a qualcosa che è al di là del nostro potere, «abbiamo il controllo su tutto ciò che conta veramente per il nostro benessere», saremo davvero liberi e nulla potrà più farci del male.
Ma per arrivare a una simile consapevolezza, se si ritiene promettente battere questa pista, non basta a volte una vita intera, altro che sette lezioni. Ci vuole esercizio costante, dedizione, metodo. «Se si smette di prestare attenzione ai propri giudizi anche solo per un attimo, si corre il rischio di ricadere in cattive abitudini. (…) Dobbiamo avere i nostri principi filosofici fondamentali sempre a portata di mano, così da non ricadere in giudizi errati. Questa è filosofia come pratica quotidiana e modo di vivere», qualcosa che assomiglia al discernimento religioso e che per le nostre abitudini moderne associamo più facilmente alla psicoterapia (ma d’altronde gli stoici stessi non esitavano a paragonare il filosofo a una sorta di personal trainer dell’anima, che predispone allenamenti adeguati per rinvigorire la mente anziché i muscoli). Anche Petrarca sosteneva qualcosa di simile, quando – in polemica con la stile filosofico dei cattedratici del suo tempo – incidentalmente fondò l’umanesimo moderno: a che ci serve saper distinguere analiticamente una per una le virtù, se non ci fornite gli strumenti per praticarle? Per raggiungere tale obiettivo non c’è altra via che la frequentazione costante e paziente dei maestri, così come all’uomo di fede non basta sapere che Dio c’è, ma occorre ruminare liturgicamente il vangelo per riuscire un giorno a vedere la perla nel campo.
Per provare a dare un’idea di cosa significhi tutto questo (visto che lo studio della filosofia al liceo è anche un modo per saggiare stili di pensiero differenti), quando arrivo a trattare questa parte, di solito leggo in classe tre bellissimi brani di Epitteto, Seneca e Marco Aurelio e poi, a partire da quel che essi hanno scritto, propongo ai miei studenti questi tre compiti: provate a distinguere tra le cose che avete il potere immediato di cambiare e quelle su cui non avete questo potere (mitigo un po’ il rischio implicito di quietismo invitando a un più equilibrato realismo: difficile modificare all’istante il carattere di una persona che mi irrita, posso però fare in modo che mi irriti un po’ meno); fate ogni sera la “lista” del tempo speso, per verificare come l’avete impiegato; fate l’elenco delle persone a cui siete grate perché vi hanno insegnato qualcosa. Non ho mai verificato davvero quanti studenti abbiano provato a seguire la consegna, anche se temo pochi, perché poi alla fine è sempre più facile limitarsi a memorizzare qualche dato e provare a ripeterlo, pensando che quello sia studiare. Sellars, che a differenza di me è uno che fa le cose in grande, organizza invece da tempo le Stoic week, una sorta di grande raduno virtuale in cui “invita a vivere come uno stoico per una settimana”. Lui assicura che «dal 2012 più di 20000 persone hanno preso parte a un esperimento globale online per vedere se vivere come uno stoico per una settimana possa incrementare il senso di benessere. Il risultato sembra dire di sì». Ecco perché sette lezioni posson bastare: questo libro avrà raggiunto il suo scopo se ti viene voglia di andare subito a compilare il modulo per l’iscrizione.
(finito il 5 ottobre 2021)
Ho parlato di
Sette brevi lezioni sullo stoicismo
(Einaudi 2021)
trad. di A. Taglia
112 pp. | 12 €
(ed. or.: Lesson in Stoicism, 2019)
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