Chissà quante volte gli avranno dato del comunista, a padre Gutierrez - più o meno gli stessi che per gli stessi motivi oggi danno del comunista al papa, o che, in alternativa, cercano nel suo passato delle prove compromettenti per screditarlo agli occhi dei suoi sostenitori. Meccanismi già visti all’opera altre volte, non appena un credente sospende le giaculatorie e si azzarda a mettere in discussione l’ordine sociale (anzi no, un ordine sociale ben preciso, giacché se si combattono i nemici “giusti” si è invece proclamati santi subito). La macchina del fango investì appieno, per esempio, quel sant’uomo di Las Casas, di cui Gutierrez si serve forse qui anche un po’ come controfigura, approfittando della distanza storica per togliersi qualche sassolino dalle scarpe, senza che questo infici peraltro il valore scientifico e storico del saggio, il cui limite non è la passione da cui è ispirato, ma tutt’al più una certa prolissità.
Il punto di partenza consiste nel rivendicare il valore e l’originalità intellettuale dell’opera di Las Casas, di contro a chi vorrebbe ridurlo a mero frate barricadero o tutt’al più ad esecutore delle linee guida formulate dai più posati teologi di Salamanca. Non è che si fa teologia solo quando si invita a immaginare una pietra infinita: teologo è chi si lascia interpellare dalla realtà storica, anche e soprattutto quando questa ci spiazza, e si sforza di rileggerla e di illuminarla con i criteri offerti dal Vangelo. Las Casas cerca, appunto, di pensare «a partire dalle Indie» - oggi diremmo dalle periferie – ma questo non svilisce la sua riflessione rispetto a chi è stato in cattedra per tutta una vita, anzi, semmai la rafforza. Letti a Hispaniola, quei passi della Bibbia in cui Dio prende apertamente le parti dell’oppresso assumono tutta un’altra consistenza. A chi lo cerca nel tempio, Dio si manifesta ancora una volta sul Golgota. «La verità nascosta – più profondamente delle miniere in cui lavorano gli indios – è che in quegli esseri maltrattati e disprezzati è presente Cristo». Proprio così: ogni volta che avete dato da bere a un assetato, l’avete fatto a me; ogni volta che ero nudo e non mi avete vestito, non l’avete fatto a me. Per questo il povero è davvero un luogo teologico.
Ma il povero non nasce sotto il cavolo. E neppure è miracolosamente calato lì dal cielo per permettere al ricco di fargli l’elemosina così da guadagnarsi il paradiso. Questo vale sempre e comunque, ma nelle Indie, all’improvviso, tutto ciò diventa clamorosamente evidente: i poveri di cui parla Las Casas sono persone che vivevano tranquillamente la loro vita finché gli spagnoli non li hanno resi poveri, trattandoli come animali e sfruttandoli fino alla morte per trarne un profitto economico. Un profitto, tra l’altro, che se favorisce direttamente chi dispone in prima persona di manodopera a costo zero, giova poi indirettamente anche a chi, in virtù di quel lavoro forzato (ancorché, formalmente, libero), può permettersi, per dire, di comprare i pomodori a costi minimi al supermercato. «Ad assassinare il povero (…) non è dunque (…) un individuo mosso da istinti perversi, ma un sistema politico oppressivo basato tanto sull’interesse e sull’arricchimento di chi ne beneficia quanto sull’accumulo della ricchezza nelle mani di pochi. (…) Las Casas denuncia dal punto di vista della fede quell’ordine sociale imperniato sulla smisurata ricerca di ricchezza che inizia a prender piede».
Ecco, appunto: la fede può tacere di fronte a questo scandalo e continuare a sciorinare solo le coroncine del rosario? No, anche perché «accade spesso che, paradossalmente, alcuni dei più strenui difensori del carattere “puramente religioso” del lavoro di evangelizzazione siano quelli che detengono il potere politico al servizio dei potenti». Ma qui non c’entrano nulla Marx o l’illuminismo o che so io. Sarebbe del tutto fuorviante considerare Las Casas un “moderno” - anche perché la modernità è proprio l’epoca dello sfruttamento globalizzato compiuto e della libertà per pochi. Las Casas non precorre i tempi, ma «accetta le vecchie (e sempre nuove) esigenze evangeliche senza limiti e concessioni». Per questo gli preme che l’indio sia riconosciuto, prima ancora che come soggetto di diritti giuridici (che possono essere piegati anch’essi a logiche di sfruttamento), come il prossimo da amare, senza se e senza ma, a prescindere da qualunque norma legale. «La fonte della parità fra le persone sta nell’amore di Dio», di fronte al quale un cristiano non può transigere (e il suo è un discorso interamente rivolto a quella civiltà cristiana che, quando è giunto il momento della prova, anziché porgere l’altra guancia, ha tirato fuori la spada dal fodero). Tutto ciò lo rende eccentrico rispetto alle consuete orbite teologiche, anche rispetto alle novità che pure stava elaborando la Seconda Scolastica: la sua voce denuncia invece, con la parresia tipica del profeta, il comodo provvidenzialismo sbandierato da chi si trova sulla cresta dell’onda della storia e poco si cura di chi ne resta travolto. «Assumere il punto di vista dell’altro diventa per Las Casas una questione di spiritualità come cristiano e di metodologia nella sua riflessione come teologo». Ecco il contributo specifico offerto da Las Casas all’intero pensiero occidentale.
«Uomo del suo tempo, indubbiamente, e con tutta la forza e i limiti che ciò implicava, ma inserito al tempo stesso in una prassi che esigeva da lui una teoria che andasse oltre le anguste nozioni di cui disponeva nel suo bagaglio teologico. Questo gli fece percorrere terre inospitali e dissodare sentieri nuovi per cercare di comprendere il cielo delle Indie. Il fatto è che partendo dal povero, dal rovescio di una storia in cui il potente esercita dominio e repressione e poi falsifica la storia stessa nel narrarla, è possibile scoprire certi aspetti delle esigenze del Dio che libera; e per annunciare il Vangelo e fare teologia a volte ci viene comandato di abbandonare il terreno cui siamo abituati, di rompere con quanto ci è familiare e ci dà una scomoda sicurezza per andare, come Abramo, verso un paese sconosciuto in cui gli unici punti fermi sono la fede in Dio e la speranza nel suo Regno di vita». Troppo, per pensare di sfuggire alle diffamazioni (c’è chi scrisse di lui che era l’Anticristo perché andava in giro a raccontare cose “che non si erano mai sentite prima”... proprio come quel tale a Cafarnao). Del resto, buttarla in caciara spostando il discorso sulle persone, sulle scorte, sui rolex, sui neri africani che Las Casas non avrebbe difeso a dovere è la solita strategia seguita da chi vuole continuare a nascondere delle realtà semplicemente indifendibili.
(finito il 7 giugno 2019)
Ho parlato di
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Gustavo Gutierrez
Alla ricerca dei poveri di Gesù Cristo.
Il pensiero di Bartolomé de Las Casas
(Queriniana, 1995)
trad. di C. Chiecchi
673 pp. | 45 €
(ed. or. 1992)
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