Ambler è un mio vecchio pallino. Prende personaggi che per qualche motivo sono sempre un po’ outsiders (perché apolidi, ad esempio, oppure di famiglia multietnica, oppure dei sopravvissuti, o tutto questo insieme) e li lancia in intrighi internazionali più grandi di loro che spesso e volentieri hanno come cornice il Mediterraneo – il che, per un meridianista come me, è oro colato. Qui la storia comincia con un botto interrotto (leggere per credere), continua come in un romanzo di Sciascia (c’è di mezzo un presunto manoscritto attribuito all’anarchico russo Necaev, che non si capisce se è autentico o un falso, ma che trova comunque un editore italiano interessato a pubblicarlo, perché «il falso in Italia è industria nazionale»), quindi, tra rapimenti simulati e inseguimenti vari, si finisce immersi nelle complicate trattative per l’allestimento di un’intervista televisiva a un eccentrico sceicco del Golfo, che anziché comprarsi il Paris St. Germain (siamo solo nel 1981) decide di investire i suoi petrodollari nell’acquisto di un’antica miniera in Austria, per motivi che appaiono da subito loschi e farseschi al tempo stesso – dove però l’intervista è solo la copertura per un incontro segretissimo fra emissari NATO e il suddetto sceicco allo scopo di negoziare un possibile scambio di favori. Assolutamente nulla di banale o scontato, anzi (certo, la cellula terroristica maghrebina nascosta nell’hinterland milanese oggi può apparire triviale, ma – ripeto – siamo solo nel 1981). Il tutto condito oltretutto con considerazioni spesso acute, e mai didascaliche, sul ruolo dei mass-media nella diffusione del terrore o sulle difficoltà del dialogo interculturale («voi dell’Occidente, tranne pochissime eccezioni, non riuscite mai a capire la mentalità araba. Ecco perché i vostri uomini d’affari hanno bisogno di persone come me che la interpretino per loro. Che interpretino non solo le parole, ma gli atteggiamenti e gli stati d’animo. L’inglese che parlo io è diverso dal vostro. Lo avrà notato»). Con una morale un po’ cinica, ma efficace, e forse adatta al caso nostro: che le guerre mondiali rischiano di nascere più per errore e per imperizia che per scelta. «Il potere effettivo è in mano a coloro che hanno la capacità catalitica di provocare reazioni incontrollabili». Bene, bravo, d’accordo, svariati like di approvazione perché in fondo ci piace, però – onestamente – qui la tira un po’ troppo per le lunghe, mentre i thriller sono invece in buona parte una questione di tempi. Il catalogo ambleriano offre di meglio: tornare su questi passi se si è completisti.
(finito il 28 novembre 2016)
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