giovedì 8 marzo 2012

L'arca di Blaise

 Dopo avermi ispirato il contenuto del post precedente, Jean Bodin torna sul luogo del delitto e mi offre l'occasione per introdurre in queste pagine quello che è uno dei miei eroi cinquecenteschi preferiti, un personaggio in realtà assai poco raccomandabile che, però, con un solo gesto, merita che la sua fama duri fin che il mondo lontana. Il nome di Blaise d'Auriol dirà credo assai poco ai miei appassionati lettori, a meno che non rammentino i miei ultimi auguri di Natale, ospitati su un altro blog, in cui vi facevo un rapido accenno. Del resto, non diceva assolutamente neanche a me, prima che mi ci imbattessi scorrendo il testo di una relazione tenuta all'Académie des Sciences, Inscriptions et Belles-Lettres di Tolosa il 22 febbraio 1906 e poi stampata nel sesto volume delle «Mémoires» della suddetta Accademia, di cui recuperai una copia in non ricordo quale biblioteca ai tempi della tesi di laurea. L'articolo offriva - come da titolo - un quadro della «réaction universitaire à Toulouse à l'époque de la Renaissance», ovvero uno spaccato dello scontro che caratterizzò la vita intellettuale tolosana tra gli ambienti più retrogradi della locale Università - che allora era uno dei maggiori centri di studio del diritto in Francia - e i più avanzati circoli umanistici, le cui proposte di riforma scolastica erano considerate da molti come una sorta di cavallo di Troia per veicolare le assai più perniciose tesi luterane tra le mura dell'istituzione che era nata, tre secoli prima, come roccaforte dell'ortodossia nelle terre degli Albigesi.

E.Schrom, Toulouse, St.Etienne (1967)
Su questa piazza si consumò il rogo di Caturce
  Le tensioni raggiunsero toni davvero drammatici all'inizio degli anni '30. C'è chi fu imprigionato e poi espulso dalla città (Etienne Dolet, che ricambiò parlando di Tolosa, in una sua lettera, come di «una città più barbara dei paesi abitati dai Geti e dagli Sciti»); chi fu condannato a salatissime ammende e alla pubblica abiura (come Jean de Boyssoné); chi, infine, pagò con la morte sul rogo, come Jean Caturce, baccelliere in diritto civile, arso vivo il 23 giugno 1533 (la motivazione della condanna non è mai stata chiarita del tutto: sembra che, in occasione di una festa religiosa - l'Epifania o Ognissanti - avesse assunto degli atteggiamenti giudicati "luterani", non foss'altro perché avrebbe sostituito un'invocazione religiosa a una formula di augurio rivolta al Re). Con la consueta salacia, richiamandosi scopertamente a quest'ultimo episodio, François Rabelais, che era amico personale di alcune vittime della repressione, racconta nel Pantagruel che il suo gigante, giunto un giorno a Tolosa nel suo girovagare per le terre di Francia, vi «imparò assai bene a ballare e a tirar di scherma con lo spadone a due mani, com'è uso degli studenti di quella università; ma come seppe di un'altra loro usanza ch'era quella di bruciar vivi i professori come aringhe salate da affumicare, non vi rimase un minuto di più. Dio non voglia - si disse - che tocchi anche a me una sorte del genere. Sono già abbastanza assetato di natura senza bisogno di accaldarmi di più» (Pantagruele, V; trad. di A.Frassineti).

  In questa storia Blaise d'Auriol rappresenta l'uomo d'ordine e d'apparato, l'espressione tipica del ceto conservatore e tradizionalista. Nato a Castelnaudary, nel Rossiglione, intorno al 1470, da famiglia nobile e ricca, il nostro Blaise percorse tutti i gradi della carriera accademica, seppe guadagnarsi una qualche notorietà con strumenti anche spregiudicati (per dire il personaggio, basti dire che pubblicò col proprio nome un poema arcaizzante che si sarebbe poi scoperto essere stato copiato alla lettera da un manoscritto inedito del principe poeta Charles d'Orléans, morto una cinquantina d'anni prima), divenne professore di diritto canonico e rivestì anche importanti incarichi istituzionali, alternando la pubblicazione di poesie devozionali a fermissime prese di posizione nei confronti di ogni disordine studentesco. Poiché il 1 agosto 1533, in occasione della visita a Tolosa del re Francesco I, fu incaricato dall'Università di impetrare con una richiesta pubblica al sovrano il diritto per lo Studio di nominare cavalieri, è del tutto probabile che un mese e mezzo prima fosse presente sul palco d'onore ad assistere compiaciuto all'esecuzione di Caturce.

  Fin qui, insomma, non c'è nulla in questo personaggio un po' meschino che possa catturare un grammo di interesse. Tuttavia Auriol aveva uno scheletro nell'armadio assai più difficile da nascondere di un misero plagio letterario - ed è qui che comincia la sua fortuna postuma, destinata ad essere ravvivata ancora nel '700 da Voltaire, perché perfidamente alimentata, lui ancora vivente, da quanti non l'avevano per nulla in simpatia. Tra questi c'era anche Jean Bodin. Il quale rievoca in un passaggio dei Six Livres de la République la grande paura che aveva attraversato l'Europa in vista della grande congiunzione di Saturno, Marte e Giove prevista per il febbraio 1524. Poiché tale congiunzione doveva avvenire nella costellazione dei Pesci, segno d'acqua, sin dal secolo precedente gli astrologi - a cominciare dal cardinale Pierre d'Ailly - avevano cominciato a vaticinare, con insistenza pari a quella che oggi ci riservano solo le profezie Maya, nientemeno che l'imminente arrivo di un secondo, terribile, diluvio universale. Bodin ricorda quindi malignamente che «ci furono molti miscredenti che si costruirono delle arche per salvarsi, come fece a Tolosa anche il presidente Auriol, sebbene si ricordasse loro la promessa di Dio e il suo giuramento di non far più perire gli uomini per il diluvio». Sì, ce lo vediamo quest'uomo integerrimo, ritto bel bello sulla sua arca in giardino, in attesa che si aprissero le cataratte del cielo e che quel Dio feroce in cui credeva facesse finalmente strage di tutti i peccatori del mondo (o forse, più semplicemente, con l'atteggiamento opportunista tipico del perbenista di ogni tempo, si era costruito il suo vascello perché si ride e si scherza, ma non si sa mai...).

L'attuale sede del Collège Blaise d'Auriol a Castelnaudary
  Un gustoso scambio epistolare avvenuto proprio a ridosso degli eventi drammatici del '33 fra due persone in qualche modo colpite dalla reazione, Arnaud de Ferrier e il già citato Jean de Boyssoné, ci restituisce la fresca e salutare goliardia con cui, nonostante i travagli subiti, questi uomini seppero affrontare la situazione. Scriveva infatti Ferrier, riferendosi espressamente alla richiesta inoltrata da Auriol a Francesco I di cui si è detto sopra: «voi mi domandate della grande, io direi anche la grandissima generosità che il re vi ha fatto concedendovi il diritto di nominare cavalieri delle persone che non hanno mai imparato a montare a cavallo, non più che a discenderne (...) Io temo che il nostro fesso [s'intenda Auriol stesso] faccia fare una mediocre figura a questa liberalità regale, poiché sarà il solo a Tolosa che fino ad oggi abbia messo il freno a dei cavalli con il suo talento di canonista. Oggi Auriol, domani gli altri della stessa pasta! Anche se per Auriol, la cosa funziona; poiché per questo pover'uomo, da tempo esperto di tattica navale, sarà facile assimilare rapidamente i principi della guerra terrestre. Se, in effetti, avete qualche dubbio sui suoi servizi marittimi, ricordatevi che è lui che, quando si diffuse il timore di un diluvio, incredulo nella bontà divina, si fece costruire un battello perfettamente installato e solidamente equipaggiato contro la tempesta. Me lo ricordo bene, avendolo potuto contemplare talvolta nel giardino dell'Università...».

  Può darsi che tutta la vicenda sia una bufala, ingigantitasi poi grazie alla mediazione letteraria, ma certo fa bene al cuore vedere come questi due giuristi spernacchino cotanto collega, appena pochi mesi dopo la morte del loro amico Caturce. L'ironia non basta a redimere la storia, ma rende più giustizia che il mero livore.

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