venerdì 30 marzo 2012

Biforcuta e bicefala

  La notizia del giorno, come voi tutti saprete, è ovviamente la ricomparsa in Danimarca dopo i rigori dell'inverno del rarissimo esemplare di vipera bicefala avvistata per la prima volta ad ottobre e data a suo tempo per spacciata dai naturalisti. Ne parlava, questa mattina, Repubblica, dedicandole una gallery che potete andarvi a vedere cliccando qui

  Confesso che mi fa un certo effetto vedere in foto un esemplare che sembra uscito dai trattati teratologici rinascimentali, come il De Monstruorum natura caussis et differentiis di Fortunio Liceti (1577-1657), da cui traggo l'immagine sottostante in cui un esemplare analogo alla vipera danese è raffigurato insieme ad altri degni rappresentanti di un gustoso serraglio di freaks (si riconosce chiaramente l'agnello tricefalo segnalato nel 1577, anno di comete e di prodigi; per gli altri sono più in difficoltà). Di questa serpe si dice solo che fu vista "altrove" da Venezia - cui si riferisce l'aneddoto opposto, rievocato subito prima, dei due cani uniti sotto un'unica testa (che potrebbero essere quelli sullo sfondo) - nel 1575. Poco prima, tuttavia, Liceti aveva già scomodato l'autorità di Aristotele, il quale, in un capitolo dedicato alle anomalie biologiche nel De generatione animalium, citava appunto il caso del serpente a due teste (IV, 4, 770a 24-25). La notizia che giunge dalla Danimarca mi spinge a pensare che allora, forse, non erano poi tutte balle...

Immagine tratta da Fortunio Liceti, De monstris,
editio novissima, Patavii, 1668, p. 22.


 Ma più interessanti ancora, sebbene meno fantasmagoriche, sono le prime pagine delle Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano dentro gli animali viventi di Francesco Redi (1626-1697), uno dei più grandi scienziati italiani ed europei del Seicento (per intenderci, è quello che con un esperimento semplice semplice confutò la tradizionale teoria della generazione spontanea degli insetti dalla materia in putrefazione - o almeno le assestò un colpo decisivo). Redi la prende alla lontana risalendo sino all'Idra di Lerna, celeberrimo sauro dalle sette teste affrontato da Ercole, per concludere che non è poi così raro imbattersi in animali del genere, di cui parlano personaggi di indiscussa affidabilità (un esemplare imbalsamato era conservato nel museo del grande naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi). Egli stesso racconta che
questo presente anno [siamo nel 1684], essendo in Pisa colla Corte, ebbi fortuna di vedere, e di maneggiare un simile Serpentello con due teste, trovato, e preso nella stessa Città, mentre se ne stava lungo la riva d'Arno a riscaldarsi disteso al Sole nel bel mezzo di Gennaio.
La povera creatura che se ne stava spaparanzata a godersi il pallido sole invernale non sapeva di essere caduta nelle mani di un incallito indagatore della natura, curioso come tanti altri al suo tempo di ogni eccezionalità e stranezza. Senza pensarci su due volte, continua Redi, 
volli farvi sopra qualche curiosa osservazione, e particolarmente nel dare un'occhiata per passatempo all'interna fabbrica, ed all'interno ordine, e posture delle viscere; giacchè da veruno di coloro, che [h]anno menzionati i serpentelli da due teste, non n'è mai, ch'io sappia, stata fatta parola.
  Redi ebbe lì per lì l'impressione che si trattasse appunto di «una Viperetta» (specie a cui aveva dedicato un trattatello giusto vent'anni prima e che perciò conosceva molto bene). Due considerazioni, però, lo indussero a ricredersi. La prima è che la serpe «non portava in bocca quei denti maggiori, o canini, o maestri, che portano le vipere, racchiusi nelle loro guaine»; la seconda è che «intorno a' due colli, immediatamente dopo le due teste, avea una striscia bianca lattata, che cingea l'uno, e l'altro collo in foggia di due collarini, il che non [h]anno le Vipere». Tale serpe «di poco passava la lunghezza di due de' miei palmi, e nella grossezza poteasi dir simile al dito minore della mano di un uomo». Di colore chiaro, rugginoso, tempestato di macchie nere, aveva appunto due teste perfettamente uguali, due bocche con altrettante lingue biforcute e due occhi per ogni testa; e poi due trachee, due polmoni, due cuori con i rispettivi canali sanguigni (con il destro un po' più grande di quello sinistro), due esofaghi e due stomachi, che infine confluivano in un solo e comune intestino.  Anche di questo animale possediamo un disegno, un po' più accurato del precedente essendo frutto dell'indagine diretta del nostre Redi.

Immagine tratta da Osservazioni di Francesco Redi Accademico
della Crusca intorno agli animali viventi che si trovano dentro
gli animali viventi,
Firenze, 1684, tavola prima.

  Per la verità Redi per condurre le sue indagini anatomiche aspettò che la vipera morisse, cosa che accadde nel giro di poche settimane. Tuttavia, lo scienziato lascia intendere di aver forse accelerato il corso delle cose.
Quando questo serpentello si morì, il che avvenne poco dopo il principio del mese di Febbraio, e la sua morte avvenne forse per gli strapazzi da me fattigli nel forzarlo a mordere alcuni animaletti, come appresso riferirò, ebbi campo di vedere, che morì prima la testa destra la mattina alle quindici ore, e la sinistra testa morì lo stesso giorno sett'ore dopo la destra.
  Che cos'aveva fatto Redi?
Molti giorni prima, che morisse, volli accertarmi, se il suo morso era velenoso: Onde operai, che mordesse con l'una, e con l'altra bocca replicatamente un piccion grosso, il quale non solo non ne morì; ma non ne ebbe male alcuno, per lo meno, apparente. Lo stesso avvenne a quattro Passere, e a due Calderugi di gabbia.
   Questo risultato lo incuriosì molto, poiché sapeva per esperienza diretta che, anche se vi erano animali che durante l'inverno rilasciavano il veleno per riprenderlo a primavera, le vipere non solo lo mantenevano, ma il loro siero era così potente da colpire mortalmente anche quattro giorni dopo la morte.
Quindi è che mi venne pensiero di voler in qualche altra congiuntura osservar minutamente, e a bella posta quanto tempo dopo morte conservano le Vipere il veleno, facendone replicate esperienze col tener minuto conto dell'ore, al che io non avea badato nelle mie prime Osservazioni intorno Vipere.
  É questa l'occasione per cominciare una nuova ricerca, in cui ci si è già dimenticati della portentosa vipera bicefala e si intraprendono altre indagini, cui verrà dedicato il resto dell'opera. Perchè - ed è questo il bello - se si hanno gli occhi per vederlo, come i nostri scienziati della prima modernità, tutto è un portento meravigliosamente degno di essere indagato.

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