domenica 24 giugno 2018

Il Golem e altri racconti

Nell’imminenza della gita a Praga, ho pensato bene di entrare nel mood – e poiché il libro praghese più bello che conosca (Di notte sotto il ponte di pietra, di Leo Perutz) l’avevo prestato a una collega, ho ripiegato su un grande classico già letto a sedici anni, ma di cui conservavo un ricordo nebulosissimo, nella speranza che il tempo avesse fatto il suo dovere e mi consegnasse la chiave d'accesso sfuggitami allora. Così sono andato a riprendermi questa vecchia edizione del Golem con rilegatura precaria e carta ingiallita, tutta piena di sottolineature e corredata da una cornice fitta di annotazioni scritte da me stesso medesimo adolescente. Ora, io a questi libri ultraeconomici della Newton Compton ci sono affezionato. Comprati a cadenza regolare in edicola insieme ai fumetti, ne ho accumulati pian piano una marea, raccogliendoli ordinatamente collana per collana: poi l'usura ha avuto la meglio e adesso sono quasi tutti sbrindellati, ma sono stati per me l'equivalente della biblioteca di Monaldo Leopardi e mi hanno letteralmente aperto dei mondi quando era il momento di farlo. 

Non, però, in questo caso (se si esclude il primo contatto con la kabbalah, grazie all'introduzione). Come allora, nonostante i messaggi in bottiglia lanciatomi attraverso i decenni, non ci ho di nuovo capito niente (anche perché le mie note erano più divagative che esplicative, e forse quando uno perde troppo tempo a scrivere è perché non legge poi molto volentieri). Non so se sia la traduzione magari inadeguata o il timbro dell'autore o se più semplicemente sono io, ma proprio non mi ci raccapezzo. Questo romanzo è come un lungo sogno, pieno di simboli arcani, di cui ti resta al risveglio qualche vaga percezione, ma non una consapevolezza completa della trama, appena appena del suo senso. A mio parere si avvita semplicemente su se stesso, spacciando una certa vaghezza per profondità. «I nostri sforzi per conquistare l’immortalità non sono altro che i nostri sforzi per governare quegli spettri indocili e gli elementi innati che lottano dentro di noi. Noi attendiamo che al nostro interno prenda il potere il nostro vero “ego”, uno e indivisibile, allo stesso modo in cui aspettiamo la venuta del Messia».


Ciò che si racconta, attraverso lo sdoppiamento vissuto dal protagonista in una sorta di trance ipnotica, è appunto una forma di ascesi, una progressiva riemersione di quell'identità rimossa che trova la sua raffigurazione urbanistica nel vecchio quartiere ebraico di Praga, tirato giù e poi rimesso praticamente a nuovo alla fine dell’Ottocento. «Una volta durante ogni generazione, un'inquietudine spirituale serpeggia per il ghetto, come un lampo, e si impadronisce degli animi, non sappiamo a qual fine, e prende la forma di uno spettro che appare ai nostri occhi come un'entità umana che una volta, tanti secoli fa, ha vissuto qui, e che cerca disperatamente di materializzarsi». Quel dedalo di viuzze e di passaggi sotterranei, quella stanza senza porta e con le inferriate alle finestre, da cui promana però una luce, danno un'idea anche affascinante della tortuosità del processo di rivelazione, d'accordo. Ma si vede che non sono un iniziato, perché, quando si dirada la bruma che fa tanto atmosfera, per le mani non mi è rimasto più niente.

P.s. In compenso uno dei due racconti raccolti in appendice, La morte violetta, è fenomenale. Parte come una variazione sul tema del dottor Chamberlain di Conan Doyle e finisce con un'invenzione grottesca alla Fredric Brown. Sembra a tutti gli effetti uscito da una rivista di fantascienza americana degli anni ’50, come Astounding o Galaxy e vale da solo tutte le 2000 lire del prezzo di copertina di allora.


(finito il 9 marzo 2018)

Ho parlato di



Gustav Meyrink
Il Golem e altri racconti
(Newton Compton, 1994)

Trad. di G. Pilo

256 pp. | 2000 lire

(ed. or. Der Golem, 1915)