domenica 24 dicembre 2017

Le navi dei vichinghi

So per certo che esistono al mondo persone che leggono solo libri fantasy. Sarei curioso di sapere cosa ne penserebbero di un volume come questo, che del fantasy ha molto – più sword che sorcery, d'accordo: o meglio, la sword taglia e affetta con risultati evidenti, la sorcery è invece tutta nella testa delle persone, e noi la chiameremmo piuttosto superstizione, ma c’è pure lei – eppure è a tutti gli effetti un romanzo storico, e anche accurato. Se però la storia è quella del secolo decimo, del tempo cioè in cui Harald Dente Azzurro regnava in Danimarca ed Etelredo in Inghilterra, quando «mancano solo undici anni alla fine del mondo» e «Londra era poca cosa in confronto a Cordova», e se le vicende narrate sono ambientate per lo più in regioni che stanno al di là delle croci innalzate dal grande imperatore Carlo per tenere gli ospiti indesiderati alla larga dai confini del suo impero, ecco che i due piani tendono a sfumare un po’ l'uno nell'altro. D’altronde quella, grosso modo, è proprio l’epoca in cui maturano le grandi saghe cantate dagli scaldi, diventate poi il retroterra più o meno esplicito per tutte le future Terre di Mezzo. La sensazione è un po' quella che si può avere leggendo L'età del bronzo di Eric Shanower, splendido fumetto realistico che racconta la guerra di Troia con sensibilità archeologica e senza interventi divini (anche se, per restare nel medium, il paragone più ovvio sarebbe con Thorgal, che però vira decisamente più sul fantastico e persino sul fantascientifico).

Se però il ritmo riecheggia, anche nelle formule, quello dell'epica, il tono è tutt'altro che serioso. Insomma, ciò di cui qui si parla sono pur sempre razzie, rapimenti, teste mozzate che finiscono nei boccali di birra e massacri assortiti, tuttavia lo si fa con una leggerezza non dico alla Pulp Fiction, ma da spaghetti western, questo sì. Durante una grande festa di nozze organizzata presso i finnici, ad esempio, «i commensali si erano messi a litigare intorno alla vendita di un cavallo e ben presto avevano tirato fuori i coltelli. La sposa e le sue compagne all'inizio si erano messe a ridere e a battere le mani per aizzare i contendenti. Ma quando lei, che era di buona famiglia, aveva visto che suo zio stava perdendo un occhio per opera dei parenti dello sposo, aveva preso una fiaccola dalla parete e l'aveva sbattuta sulla testa del marito, incendiandogli i capelli. Allora una serva svelta si era tolta l'abito e glielo aveva gettato sul capo, schiacciando forte per spegnere il fuoco e gli aveva salvato la vita. La sposa, però, vedendolo uscire da sotto i panni tutto nero, bruciacchiato e calvo, si era messo a urlare. Nel frattempo, il fuoco si era attaccato alla paglia per terra e undici persone ubriache erano state arse vive. (...). Da allora la sposa visse felice col suo sposo, anche se a lui i capelli non erano mai più ricresciuti. Re Harald disse che gli piacevano quelle allegre storie intorno alla vita dei finnici, che per natura facevano sempre scherzi e malefatte».

Così, una battuta come «sei un brav’uomo, anche se sei piccolo» potrebbe stare benissimo in bocca a Bud Spencer. A pronunciarla, qui, è Orm, un giovane omone vichingo, il più bravo del suo villaggio nel bestemmiare e nello sputare lontano, prima di essere coinvolto in una serie di viaggi che lo porteranno a vivere avventure molto lontano da casa, in una terra in cui gli Asi sono poco potenti e domina un Dio solo che si impiccia – strano a dirsi per uno scandinavo – di cosa un uomo può mangiare e cosa no e che richiede forse un po' troppe genuflessioni quotidiane verso oriente, ma a cui vale la pena convertirsi fintanto che ci si muove nei suoi reami (così come ci si potrà convertire, con la stessa scioltezza, al cristianesimo, perché un Dio potente dalla propria parte torna sempre utile: e giù crocifissi di metallo al collo che neanche un gangsta rapper). Da queste avventure si riportano di solito tesori e cicatrici da mostrare con orgoglio alle donne, ma può capitare di imbarcare persino una campana di San Giacomo rubata a Compostela, che fa invece la gioia dei vescovi inviati in missione in quelle nordiche terre pagane senza reliquie nella propria bisaccia – ma ancor più dei preti-medici al loro seguito, come padre Vilibaldo, che con le reliquie ci fa i decotti per guarire chi si affida alle sue cure. «In questo paese la cosa peggiore per noi medici – dice – è che non abbiamo reliquie che ci possano aiutare; nemmeno un dente di san Lazzaro, che fa miracoli contro il male di denti, facile da trovare in molti paesi cristiani. Quando ci mandano a predicare ai pagani, infatti, non ci permettono di portare con noi reliquie, perché potrebbero cadere nelle mani sacrileghe dei pagani. Dobbiamo affidarci solo alle preghiere, alla croce e ai medicamenti terreni, che, però, non sempre bastano».

Vilibaldo, peraltro, è un bel tipetto collerico e non cura i vichinghi spinto da filantropia. Ha tutta una sua bella teoria al riguardo: vi mantengo in forze perché così possiate massacrarvi a vicenda e uccidervi tutti, satanassi che non siete altro. Le ferite possono guarire, ma l'anima non può cambiare. «Lupi assetati di sangue, assassini, malfattori, adulteri e porci, pupille degli occhi di Belzebù, male erba di Satana, figli di vipere e di serpi, come potrete mai essere purificati dal battesimo e presentarvi bianchi come neve davanti ai santi di Dio? (…) Sapete che cosa succederebbe se uno scandinavo entrasse in paradiso? Si prenderebbe subito una vergine santa, bestemmierebbe, urlerebbe le sue grida di guerra ai serafini e agli arcangeli e griderebbe che gli portassero un boccale di birra davanti al trono altissimo di Dio. No! No! So quello che dico: l'inferno è il solo posto adatto a voi, che siate battezzati o meno, e di questo sia lode all'Eterno per tutta l'eternità, amen». E però non si può non provare un moto di simpatia verso la brutale ma spontanea concretezza con cui questi bambinoni cresciuti insozzerebbero l’etereo empireo medievale.

Date queste premesse, anche l'interminabile pranzo di Natale alla corte del neoconvertito re Harald, in occasione del quale si macellano quarantotto grassi maiali, nonostante l'avvertenza di deporre tutte le armi al di fuori della sala dei banchetti, nonostante il brindisi iniziale in onore di Gesù (che perfino i pagani festeggiano, «perché era il primo brindisi e tutti avevano sete di birra»), e nonostante il racconto edificante del vescovo Poppo sulla vita del re Davide, finirà – ovviamente – in rissa. Andrebbe letta proprio domani, ai piedi dell’albero, dopo essersi scannati per l’ultima fetta di pandoro o panettone.

Ps. Una nota tecnica: quest'edizione in realtà non contiene tutta la saga. C'è infatti un Vol. 2, edito sempre dalla Beat. Peccato non sia scritto da nessuna parte e lo si scopra solo alla fine.

(finito il 10 ottobre 2017)

Ho parlato di


Frans Gunnar Bengtsson
Le navi dei vichinghi
(Beat 2014)

trad. di L. Savona

240 pp. | 13,90 €

(ed. or.: Rode Orm, 1954)