venerdì 20 aprile 2018

La nascita imperfetta delle cose

Una minuscola, impercettibile, fluttuazione quantistica nel vuoto cosmico – che già a immaginarsela, una cosa così, ci vuole un bel po’ di fantasia. Un concentrato di tutte le forze fondamentali si sprigiona a temperature infernali e dovrebbe immediatamente ricollassare su se stesso, come accaduto chissà quante altre n volte in precedenza. E invece no, questa volta no: un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang un’anomalia rompe la simmetria originaria, introducendo una sottilissima imperfezione che innesca un’espansione colossale dello spazio stesso. «In pochissimi istanti un niente diventa un tutto». E fu sera e fu mattina: forza debole e forza elettromagnetica si separano, l’antimateria sparisce dai radar, il cosmo in un amen si raffredda, cambiano le regole del gioco e «se non avverranno fatti nuovi, tutto procederà all’infinito, sempre più velocemente, fin quando le distanze saranno così grandi che tutto sarà avvolto nel buio e un freddo siderale avvolgerà l’universo intero» (perlomeno, questo universo, giacché nulla vieta, in teoria, che, al di là del nostro spazio ce ne siano altri... per non parlare delle dimensioni extra che l’enorme energia a disposizione nei primi istanti di vita dell’universo permise per una frazione di secondo di tenere aperte prima che si richiudessero su se stesse, ma che – sempre in teoria – potrebbero nuovamente essere riattivate ed esplorate).

Nel 1964 Peter Higgs tracciò l’identikit del possibile responsabile di questo patatrac cosmico – il bosone che porta il suo nome – e per una cinquantina d’anni si è cercato di capire se qualcosa del genere esistesse sul serio. Al Cern si sono dovuti immaginare tutta una nuova, mastodontica, tecnologia allo scopo di stanarlo (e così, en passant, hanno pure inventato l’internet), senza neanche la sicurezza che qualcosa da trovare ci fosse poi per davvero. Finché, nel 2012, il lieto annuncio: abbiamo scoperto la particella di Dio. Questa l’ipotesi: in un tempo ridicolmente breve successivo al Big Bang «una miriade di bosoni di Higgs, che fino a un istante prima si muovevano alla velocità della luce, si condensa, cristallizzandosi per sempre in un campo onnipresente»; occupando ogni angolo dell’universo, tale campo interagisce con tutte le particelle (fotoni esclusi) conferendo loro masse diverse. «Grazie a questo sottile meccanismo, la materia ha acquisito le caratteristiche a noi familiari». Che ancora non vuol dire, però, aver capito cosa realmente sia. Guido Tonelli, uno degli artefici della “cattura” del bosone, lo mette in chiaro sin dalle prime pagine del libro: «il cucchiaino con il quale mescoliamo lo zucchero nella tazzina del caffè è un oggetto familiare. E tutti mi prenderebbero per matto se dicessi che io, che sono un fisico, ancora non ho capito bene che cos’è quella cosa che chiamiamo cucchiaino». Eppure è così: tutti pensano che gli scienziati abbiano una risposta “scientifica” (vale a dire: certa, definitiva) a tutto. E invece no: come i poeti, come i pazzi, «siamo funamboli che corrono sul filo senza gancio di sicurezza», siamo «truppe speciali della conoscenza che l’umanità manda in avanscoperta a capire come funziona la natura», là dove il senso comune si infrange continuamente sulle scogliere dell’ignoto, e tre dottorati e un premio Nobel ti servono magari solo per ratificare che il 95% dell’universo è fatto di qualcosa che ci sfugge e che «quella che convenzionalmente chiamiamo la realtà è un concetto spurio, difficile da definire con rigore». E quand’anche ti sembrasse di averne compreso un minuscolo frammento ecco che, «prima o poi, arriverà un esperimento che farà crollare tutto, anche quelle poche certezze che consideriamo granitiche».

Ciò che fanno gli acceleratori del Cern è appunto «riprodurre in laboratorio, in condizioni controllate, quella zoologia di particelle che popolavano in abbondanza l’universo subito dopo il Big Bang, ma che non hanno potuto sopravvivere fino a oggi», così da ricreare artificialmente «il posto più simile al primo istante di vita dell’universo che l’uomo sia stato in grado di realizzare». E quel che finora si è scoperto ha davvero del sorprendente: il mondo più o meno organizzato in cui sguazziamo non è che un precario, povero, relitto di quel gigantesco calderone che furono gli istanti iniziali, quando la materia si comportava diversamente da come fa oggi e per un battito di ciglia dominò – letteralmente – un’altra fisica, di cui la nostra è una semplice versione a basse temperature per capi delicati. Non siamo tutti figli della contingenza solo a livello biologico. La realtà tutta si trova «in una condizione di equilibrio metastabile, cioè nella zona di confine fra una regione di equilibrio permanente e il baratro della più totale instabilità. Se top e Higgs avessero avuto masse leggermente diverse, il vuoto elettrodebole sarebbe stato talmente instabile che non ci sarebbe stata nessuna evoluzione: la microscopica lacerazione che si era aperta nel vuoto quantistico con il Big Bang si sarebbe immediatamente richiusa e tutto sarebbe finito prima ancora di cominciare. Con quei valori “molto particolari”, invece, il vuoto elettrodebole ha potuto costituirsi e resistere a lungo, per miliardi di anni, consentendo l’evoluzione che ha portato fino a noi. La stabilità, tuttavia, non è assoluta. Se da qualche parte nell’universo, per qualche motivo misterioso, si generassero energie un miliardo di volte superiori a quelle che si sviluppano in Lhc, il vuoto elettrodebole potrebbe cedere di schianto. Con ogni probabilità la lacerazione locale non rimarrebbe confinata. Quando, in una data zona, il sistema precipita verso un nuovo equilibrio, tutta l’energia in eccesso immagazzinata nel vuoto verrebbe emessa sotto forma di calore e il cosmo intero svanirebbe in una immane palla di luce». Tonelli ne ricava una sorta di morale della favola: «quello che trovo intrigante in questa discussione è che lo stato di metastabilità del vuoto elettrodebole sembra determinare una relazione fra la precarietà della condizione umana e quella dell’universo nel suo complesso. Come se la nostra fragilità di esseri umani, corpi delicati che possono essere annientati da uno stupido frammento di Dna che impazzisce, o da una caduta dalle scale, fosse il riflesso su scala microscopica di una precarietà cosmica che interessa tutto; perfino le strutture gigantesche che ci circondano e che, a prima vista, ci sembrano immortali». Io più che esclamare di continuo wow, di fronte a tutto questo, non so che fare. Qui è quando ti accorgi che la scienza è molto più fantascientifica di tanta sedicente fantascienza che si è limitata a dotare di spade laser gli antichi cavalieri medievali.

Messa giù così sembra però che il discorso sconfini di continuo nei territori della metafisica – e in parte è vero. Ma si tratta anche di una deformazione del recensore. Questo non è un libro di fisica teorica, neanche divulgativa (sebbene inserti di questo tenore siano inevitabilmente presenti), ma il racconto fatto in prima persona di come si è svolta questa ricerca – una vera e propria avventura capace di dare significato a tutta una vita, tra slanci visionari e colpi bassi, amicizie che nascono ed altre che si infrangono. E in questo senso è un testo molto concreto, che offre uno spaccato del modo in cui oggi si svolge effettivamente la pratica scientifica, ma che si può anche leggere come un romanzo, pieno com’è di curiosità, aneddoti e risvolti inaspettatamente terra terra. Qui si parla, per es., dei tovagliolini di carta della caffetteria del Cern («forse gli strumenti scientifici più importanti dell’epoca moderna»), dove si gettano i primi appunti delle intuizioni che verranno poi sviluppate nei laboratori; qui dei semafori smontati lungo le strade provinciali franco-svizzere così da permettere il transito agli enormi magneti essenziali per costruire l’acceleratore; là di come l’ottone necessario sia stato ricavato dalle ogive di migliaia di proiettili di artiglieria pesante provenienti dagli arsenali ex-sovietici; laggiù, infine, delle infiltrazioni e delle saldature difettose che hanno mandato in tilt l’impianto per quasi un anno – e verso la fine, in un paragrafetto, c’è pure spazio per un cenno alla visita di Tronchetti Provera, che, messo di fronte ai costi complessivi del progetto, commentò: «pensavo di più. É grosso modo quanto abbiamo speso per l’Inter, negli ultimi tempi» (pare non scherzasse: e questo anche vuole dire qualcosa). Su tutto ciò aleggia in ogni pagina quella «passione bruciante» che infiamma studiosi e gruppi di ricerca descritti come grandi orchestre composte da «gente libera che è spinta a coltivare punti di vista originali e idee controcorrente». Solo per questa passione, in fondo, e non perché abbiamo già effettivamente capito come gira il mondo, possiamo continuare a fregiarci del titolo di sapiens.

(finito il 4 gennaio 2018)

Ho parlato di


Guido Tonelli
La nascita imperfetta delle cose
La grande corsa alla particella di Dio e la nuova fisica che cambierà il mondo
(Rizzoli, 2016)

333 pp. | 19 €