giovedì 21 febbraio 2019

Le radici del Romanticismo

Forse mi sto facendo condizionare dagli eventi e comincio anch'io a vedere il demonio dappertutto, persino quando mi immergo in letture che dovrebbero sottrarmi a questo offensivo presente, ma leggete qua e ditemi un po’ se queste parole non vi sembrano la messa in bella copia di quanto dichiarano quelli che se la prendono con i “numerini” delle finanziarie e le stime degli organismi sovranazionali: «qualunque postulato che affermi l’esistenza di leggi oggettive non è nient’altro che una fantasticheria umana, un’invenzione umana, un tentativo compiuto dagli esseri umani per giustificare la loro condotta, e specialmente la loro condotta disdicevole, evocando immaginarie leggi esterne e scaricando ogni responsabilità, poniamo, della legge della domanda e dell’offerta, o di una qualunque altra specie di legge esterna (in campo politico, oppure economico) che si presume essere immodificabile, e che pertanto non solo spiega, ma giustifica la povertà, la degradazione e gli altri sgradevoli fenomeni sociali». Questo perché «non esiste una struttura delle cose», e se tale struttura non esiste sarà illusoria anche «qualunque concezione che cerchi di rappresentare la realtà come dotata di una forma suscettibile di essere studiata, descritta, appresa, comunicata ad altri, e sotto ogni altro aspetto trattata in un modo scientifico». L'unica cosa che conta è allora la volontà, la possibilità di «plasmare le cose a nostro piacimento», perché «esse pervengono all’essere soltanto per effetto della nostra attività plasmatrice». Io qui ci vedo in filigrana tutta l’ostilità verso i saperi, la pratica disinvolta della post-verità, il furore con cui si disprezzano le cose che non si capiscono perché sono sicuramente “contro il popolo”, l'esaltazione narcisistica della propria intraprendenza quale soluzione di tutti i problemi - un concentrato, insomma, delle pulsioni un po' infantili che animano i nostri bravi governanti e ancor più i loro sostenitori. 

Si tratta forse di citazioni tratte da un saggio di sociologia contemporanea? Un testo di Bauman, di Beck? No, tutt’altro. Leggo queste osservazioni in un meraviglioso libro ricavato da una serie di conferenze sul Romanticismo che Isaiah Berlin tenne nel lontano 1965 e che costituisce un ottimo esempio della regale padronanza con cui gli anglosassoni sanno muoversi nella storia delle idee senza restare impantanati, come capita talvolta a noi, nella palude delle note. Per Berlin, il Romanticismo è stato «il maggior mutamento singolo verificatosi nella coscienza dell’Occidente», l’ultima grande trasformazione epocale che abbia segnato il nostro modo di interpretare il mondo. Al nocciolo dell’esperienza romantica c’è infatti il rovesciamento di tutta una serie di presupposti su cui si era basata la civiltà europea precedente, sia greca che cristiana – come per l'appunto l'idea secondo cui la realtà, il mondo, la natura costituisse un ordine dato e conoscibile (poco importa che lo fosse solo a Dio o anche all'uomo, tramite la scienza o altri strumenti). Questa vena iconoclasta maturò tra '700 e '800 in Germania ad opera di una generazione di intellettuali spiantati, outsider, personaggi culturalmente preparati ma messi ai margini da una società di cui, anche per questo, detestavano gli usi, i costumi, i tic – tutte frivolezze etichettate come “francesi”, di contro a una spiritualità e profondità considerate al contrario espressioni autenticamente “tedesche” (e sostanzialmente pietiste) – e che perciò decisero di rivoltare quella società dalle fondamenta. «Le regole vanno spazzate via in quanto tali. Questi due elementi – la libera volontà senza pastoie di sorta e la negazione dell’esistenza di una natura delle cose, il tentativo di mandare a gambe all’aria, di far esplodere la nozione stessa di una struttura stabile di una qualunque cosa – sono gli ingredienti più profondi, e in un certo senso i più insani, di questo movimento estremamente prezioso e importante». 

Già, importante. Perché per molti aspetti tutto questo è sinceramente apprezzabile. Non sarò certo io, che sono nipote di contadini e immigrati, e rabbrividisco ancora quando sento la Marsigliese, a difendere i troni dei faraoni che si credono investiti di un diritto divino. Una certa incoscienza è necessaria per gridare che il re è nudo. Tuttavia, se già la cultura romantica, che per certi versi adoro, è segnata da queste contraddizioni e da una facile propensione al delirio, a maggior ragione una delle cose che meno perdono agli odierni cialtroni sovrapopulisti è di aver inquinato con le loro sciocchezze delle giuste battaglie – anzitutto quella contro l’iniqua distribuzione delle ricchezze – perché semplicemente incapaci di reggere con le loro piccole menti la complessità dei problemi. Sgorga da questa inefficienza di fondo l’accusa ai poteri forti di contrastare, sempre e comunque, le loro tanto buone azioni. Anche se parla d’altro, pure su questo punto Berlin è illuminante. Quando la Rivoluzione si trasformò in Impero – dice – la sensazione positiva di essere parte di una storia in cammino si rovesciò in mitomania e sospetto: «è qui, secondo me, il luogo d’origine di questa nozione, che alimentò altresì la corrente della paranoia, nel senso che evocò di nuovo l’idea di qualcosa che è più forte di noi, di una gigantesca forza impersonale che non è possibile né indagare né influenzare. Ciò rendeva l’universo molto più terrificante di quanto fosse stato nel Settecento». Questa dialettica tra nobili aspirazioni e triste realtà cominciò allora, sotto forma di incubi e fantasmi. Perchè le nostre realizzazioni non soddisfano mai il fuoco che abbiamo dentro? Perché non risolviamo tutti i problemi del Paese al primo consiglio dei ministri come dichiarato in campagna elettorale? Ma perché ci sono come delle forze occulte che remano costantemente contro. Allora si pensava magari ai gesuiti o ai framassoni, a seconda del campo in cui giocavi, oggi si parla di “manine”, ma la logica è sempre quella. 

E allora vien fuori che una qualche familiarità tra questi qua e il fascismo c'è poi davvero, ma su basi inaspettate – romantiche appunto. Anche il fascismo, infatti, è figlio del Romanticismo, con la sua nozione di una volontà imprevedibile che «si apre la sua strada in una maniera che è impossibile organizzare, impossibile predire, impossibile razionalizzare. Il nocciolo del fascismo è tutto qui: quel che il capo dirà domani, in qual modo lo spirito ci sospingerà, dove andremo, che cosa faremo, non è possibile prevederlo. L’isterica autoaffermazione e la nichilistica distruzione delle istituzioni esistenti perché coartano l’illimitata volontà, che è l’unica cosa che conti per gli esseri umani; la persona superiore che scaccia quella inferiore perché la sua volontà è più forte: questi tratti sono un’eredità diretta – in una forma quanto mai distorta e adulterata, ma nondimeno un’eredità – del movimento romantico; e quest’eredità ha svolto un ruolo enorme nelle nostre vite». C’è del pericolo in quel che ami – e cadi come corpo morto cade. Senza voler fare opposta dietrologia, mi sentirei di dire che, come il fascismo è stato lo strumento di cui si sono serviti certi apparati di potere per tenere a freno la rivoluzione cooptando le masse intorno a un progetto totalitario alternativo, così l’odierno populismo è per me un modo attraverso cui i ricchi consolidano la loro forza dando ai più poveri l’impressione di essere dalla loro parte. 

Berlin sostiene in queste pagine che l’eredità più duratura del Romanticismo alla lunga sarà proprio una delle cose contro cui esso aveva più lottato. La consapevolezza che gli ideali sono incompatibili, che l'interiorità di ogni uomo è incommensurabile con quella di chiunque altro, che non ci sono misure comuni, oggettive, di riferimento accentuerà, infatti, anziché dissolvere, la ricerca di un qualche sistema convenzionale capace di garantire la sopravvivenza della specie. «Il risultato del Romanticismo è dunque il liberalismo, la tolleranza, la decenza e la consapevolezza delle imperfezioni della vita; in una certa misura, un accrescimento dell’autocomprensione razionale. Ciò era lontanissimo dalle intenzioni dei romantici. Ma al tempo stesso (ed entro questi limiti la dottrina romantica è vera) essi sono le persone che hanno insistito con maggior forza sull’imprevedibilità di tutte le attività umane. Sono dunque saltati in aria sulla bomba che avevano fabbricato. Mirando a una cosa, hanno prodotto, fortunatamente per noi tutti, quasi l’esatto contrario». Cinquant’anni dopo, però, lo scenario non sembra esattamente quello (e, per somma ironia della sorte, anche il ruolo di Rousseau, in questo processo, pare sia «stato esagerato»).

(finito il 10 ottobre 2018)

Ho parlato di


Isaiah Berlin
Le radici del Romanticismo
(Adelphi, 2001)

trad. di G. Ferrara degli Uberti

259 pp. | 29 €

(ed.or.: The Roots of Romanticism, 1999)

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