giovedì 10 luglio 2025

Adattamenti meravigliosi

Non avevo esattamente capito che genere di libro stavo comprando, quando ho comprato questo libro, anzi mi ero figurato qualcosa di un po’ diverso da quello che si è rivelato, ma ciò conferma indirettamente uno dei temi che questo libro ti aiuta a mettere a fuoco, quando poi lo leggi, ovvero che proprio là dove non te lo aspetti, o dove ti aspetti altro, magari di più scontato, si nascondono invece meraviglie che vanno ben oltre qualsiasi precedente immaginazione e che anche da quelli che sembrano errori di valutazione si finisce comunque per imparare qualcosa. Per spiegarlo, l’autore ricorre, tra l’altro, all’esempio della Ultra-Deep Field, lo scatto – chiamiamolo così – con cui il telescopio Hubble ha rivelato in «una porzione di cielo notturno banale e probabilmente priva di interesse» l’esistenza di diecimila galassie di cui prima non si aveva la minima percezione. Ma se da sempre il cielo stellato sopra di noi evoca quasi spontaneamente alla nostra fantasia la sensazione dell’ignoto, meno ovvio è che a suscitare analoghe emozioni possa essere il giardino di casa sotto di noi e quelle migliaia di piccolissimi eventi che ci accadono letteralmente fra i piedi, a prima vista infinitamente meno affascinanti rispetto, che so, alla collisione di due buchi neri. Si capisce ancora ancora l’attrattiva esercitata dai dinosauri oppure dai cetacei, dai grandi mammiferi, dalle scimmie: ma toporagni, insetti e lombrichi che cosa avranno mai da raccontarci di così interessante? E invece piegarsi su uno di questi animaletti e studiarlo al microscopio è esattamente «come spedire una sonda verso un pianeta lontano» (e curiosamente tocca prendere atto che alcuni mitemi tipici della fantascienza in apparenza più sfrenata hanno radici terrestri, troppo terrestri, senza bisogno di scomodare alieni o xenomorfi). Insomma, continuano ad esserci più cose nell’aiuola del basilico che in tutta la nostra filosofia e a ben vedere il mondo delle stranger things non è affatto il sottosopra, ma quello che solo per una questione di miopia ci ostiniamo a considerare “normale”.

Per farla breve, credevo di avere a che fare con una raccolta di saggi evoluzionistici alla Stephen Jay Gould e invece, anche se il retroterra è pressoché lo stesso, mi sono ritrovato per le mani un testo con un approccio decisamente più sperimentale – e per sperimentale intendo proprio da sporcarsi le mani e affondare fino alla vita nel fango delle paludi: non è un caso che parole di enorme apprezzamento siano qui riservate ad Alexander von Humbold, uno che se avesse potuto si sarebbe fatto ingoiare dalle balene per poterle osservare da dentro -, sebbene di taglio divulgativo, ossia sfrondato di gran parte dei grafici e dei dati che solitamente vengono riportati negli articoli scientifici e pieno zeppo, al contrario, di tutti quegli elementi narrativi e autobiografici che in quegli articoli non trovano mai spazio. Ed è probabilmente perché da quella letteratura spesso misurata potrebbe non emergere a sufficienza che dev’essere arrivato un momento in cui Kenneth Catania, docente di biologia all’Università di Nashville da quasi trent’anni (anche se con un passato da consulente dello zoo di Washington), ha avvertito l’esigenza di testimoniare a tutti in modo che più chiaro non si può come il sense of wonder non sia solo una prerogativa dei ragazzini che leggono fumetti, ma anche di chi, come lui, può vantare oltre un centinaio di pubblicazioni, premi, fellowship e tutto quello che serve a ingrassare un dignitoso curriculum accademico. Di qui il suo intento, dichiarato sin dall’inizio, di «cambiare la percezione di come avvengono le scoperte e di come si fa ricerca» - e per darcene un’idea il più incisiva possibile ha anche disseminato i bordi pagina del suo libro di qr code che, se debitamente inquadrati, ci collegano a video in cui possiamo vedere quello che ci viene raccontato, offrendoci un’autentica esperienza di lettura aumentata (qui pongo la mia pietra miliare e certifico che è stata la prima volta che mi è capitato in un volume non scolastico).

La morale della favola, corroborata da un’intera vita di studi, è che, per scoprire qualcosa di significativo, «pare che servano molta fortuna e serendipità», anche se bisognerebbe sempre ricordarsi di chiosare questa osservazione con il noto adagio di Pasteur secondo cui la fortuna aiuta le menti preparate, nonché con quello - non d’autore, ma non per questo meno vero - secondo cui i fallimenti sono «parte integrante della scienza, come della vita» (quindi niente paranoie se ci si imbatte di tanto in tanto in un vicolo cieco, perché non solo capita, ma deve capitare, e molto più di una sola volta). E il modo migliore per tenersi preparati è quell’«elemento chiave sottovalutato nel processo di scoperta» che consiste anzitutto nel «mantenere l’apertura mentale e non avere troppi pregiudizi», in quanto «essere incuriositi dai misteri fa parte della natura umana, ma i misteri ci portano solo sulla soglia. Non possiamo sapere cosa scopriremo varcandola». Dunque, attenzione estrema all’insolito e nessuna preclusione rispetto a ciò che ci può rivelare una qualsiasi esperienza, perché il mondo non si lascia mai chiudere in una teoria preconfezionata. Come avrebbe detto Sherlock Holmes, una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. La scienza ci insegna, infatti, «a riconoscere leggi generali osservando i particolari più inconsueti» e «i dettagli più strani», tanté che «qualcuno ha detto che la cosa più bella da sentire, nella scienza, non è “eureka”, ma “che strano!”». Tutto questo Catania lo sa bene, essendosi costruito nell’ambiente la bizzarra fama di «studioso di strane appendici» soprattutto per via delle sue prolungate indagini sulle talpe dal muso stellato (Condylura cristata), esserini di cinquanta grammi appena che hanno però «l’abitudine di piombare nel bel mezzo di interessanti teorie e controversie scientifiche». Lo studio del funzionamento del corpo stellato che hanno sul muso e che si è rivelato essere l’organo tattile più sensibile tra tutte le creature del pianeta (con tanto di certificazione Guinness che riconosce a lei, e non – per dire – al ghepardo, il titolo di cacciatore più veloce tra i mammiferi, proprio in virtù di questa dotazione, grazie alla quale è in grado di individuare una preda, esaminarla, decidere di mangiarla, ingerirla e cercare un nuovo boccone in 230 millisecondi) è infatti una riprova del carattere non architettonico dell’evoluzione, che opera sempre e solo su ciò che già c’è, riciclando e riadattando alla bisogna; anzi è esattamente la stranezza dei risultati a costituire «una delle migliori prove dell’evoluzione» stessa (e qui Gould effettivamente torna in campo con uno dei suoi tormentoni).

Per questa via si viene, per esempio, a conoscenza di meccanismi sofisticati come la finissima tattica di caccia del serpente dai tentacoli (Erpeton tentaculatum Lacépède) e si fa i conti con la possibilità di una “percezione elettrica” del mondo, come quella delle anguille sudamericane (Electrophorus electricus), assai più estranea di quanto lo possa essere per noi la già complicata ecolocazione propria dei pipistreli, anche se probabilmente la più inquietante “meraviglia” qui descritta è quella riguardante la vespa gioiello (Ampulex compressa), «uno di quei casi in cui la realtà è molto più strana, interessante e agghiacciante della fantasia», dal momento che questa specie è solita paralizzare con una puntura gli scarafaggi, immobilizzarli in appositi luoghi cavernosi, nutrirsi di un tronco della loro zampa per assumere le proteine necessarie a deporre nel tenero moncherino una larva, la quale, a poco a poco, comincerà a nutrirsi del corpo ancora vivo, ma inerte, dell’insetto, finché lo dilanierà dall’interno, come in Alien, una volta raggiunta la maturità (sempre che non capiti nulla nel frattempo: basta anche solo un leggero movimento dello scarafaggio perché la larva cada fuori e muoia di fame, mentre la sua preda, esaurito, dopo circa una settimana, l’effetto inibitorio sui suoi sensi, riprenderà a muoversi liberamente – e tutto questo sotto il nostro naso!). Citando Feynman, Catania ne conclude che “la conoscenza scientifica non sottrae niente all’emozione, al mistero e alla meraviglia di un fiore. Non fa che aggiungere”. Qualche giorno fa mia moglie ha realizzato un acquarello in cui una bambina osserva un fiore gigante e una scritta sullo sfondo recita “coltiva lo stupore”. É per l’appunto questa una delle svariate affinità che unisce lei, fisica, a me, filosofo.

(finito il 7 luglio 2022)

Ho parlato di

Kenneth Catania
Adattamenti meravigliosi. 
Sette irresistibili misteri dell'evoluzione
(Bollati Boringhieri 2021)

256 p. | 23 €

(ed. or.: Great Adaptations. Star-Nosed Moles, Electric Eels, and Other Tales of Evolution's Mysteries Solved, Princeton 2020)